Nel provare (ed esprimere) un più o meno sottile godimento sui guai in casa d’altri siamo campioni. Soprattutto se si tratta della Germania. Questa volta, però, non sono semplici guai, e i danni rischiano di essere per tutti, Italia compresa.
Le bombe che rischiano di esplodere sono quelle di Wirecard e Lufthansa.
La prima, per la verità, è già detonata la settimana scorsa. Stamattina però è arrivata la conferma che i 2 miliardi circa di fondi che il gruppo fintech dichiarava di avere da qualche parte nel mondo non esistono. L’amministratore delegato si è dimesso, il titolo crolla, coro di indignazioni. A noi ricorda il caso Parmalat, ed è vero perché anche allora emerse una voragine nei conti. Però questa volta siamo in un settore, quello senza confini del fintech, dove le ripercussioni rischiano di andare ben oltre al bilancio di Wirecard e ai danni che inevitabilmente subiranno i suoi azionisti. Di tutto abbiamo bisogno tranne di un nuovo contagio fintecnologico.
Può ancora essere disinnescata, e c’è da sperarlo, la bomba di Lufthansa. Dove questioni industriali e finanziarie (aerei a terra e bilancio sottoterra) si incrociano con quelle di governance: per domani è stata convocata un’assemblea straordinaria dei soci per approvare il piano di bailout, cioè il salvataggio pubblico. Peccato però che all’appuntamento si sia registrato meno del 40% dei soci, e lo statuto prevede che sotto il 50% del capitale presente serva una maggioranza di almeno due terzi, che non pare scontata. Senza l’ok si porrebbero problemi di continuità aziendale: con il vettore tedesco a mezzo servizio il rischio di una paralisi del traffico aereo in Europa e in Italia, dove Lufthansa è leader, sarebbe concreto. Non c’è da augurarcelo, a maggior ragione vista l’estate appena iniziata e il tentativo di tornare alla normalità anche negli spostamenti.
Senza contare, poi, che con i tedeschi, direttamente e indirettamente con la controllata Air Dolomiti, restano tra i candidati a coprire le spalle alla futura Alitalia.