L’Italia? Più forte e più vulnerabile, dicono i numeri freschi

Forte, sì. Anche un po’ più del passato (e dei vicini). Ma anche più vulnerabile. Ecco l’Italia di questi giorni vista dai numeri e dall’economia, che – proprio grazie ai numeri – spesso aiuta a chiarirsi le idee, e farsene venire delle altre che vanno ben oltre.

Un passo indietro.

La settimana scorsa, complice un inaspettato invito del Passaggi Festival nella bellissima Fano, ho riflettuto più del solito sul concetto di vulnerabilità, tra i pezzi forti dell’ultimo libro Prendersi cura della democrazia (edizioni del Credito Cooperativo) di Stefano Zamagni, che ho avuto il piacere e l’onore di rivedere dopo tanto tempo.

Come sua abitudine, Zamagni unisce più piani. E così, con un occhio all’economia e l’altro alle scienze sociali, ricorda che “vulnerabile” è chi al momento non presenta difficoltà ma ha un’alta probabilità – superiore al 50% – di cadere in una situazione di fragilità in un tempo non immediato ma relativamente breve.

Alzi la mano chi non vede tracce di vulnerabilità intorno a sé, a maggior ragione dopo tutto quello che è capitato negli ultimi anni.

E anche l’Italia, che oggi  – tra il Mes che divide e il Pnrr che non decolla – molte narrazioni vagamente machiste tendono a dipingere forte e risoluta, se ne porta dietro una bella dose, di vulnerabilità.

Qui l’economia ci aiuta. Con alcuni numeri usciti in questi giorni.

Il primo, buono buono, l’ha dato Sace: nel 2023 l’export italiano supererà i 660 miliardi, in crescita del 6,8% sul 2022. E poi salirà ancora negli anni dopo, pur a ritmi più bassi. Bene, dunque. Ma non benissimo, visto che lunedì a tirare il freno è arrivata Confindustria: l’ultima analisi mensile “congiuntura flash” rileva una «crescita più fragile. Si continuano ad accumulare segnali di indebolimento, specie per l’industria e le costruzioni – spiegano a via dell’Astronomia – sebbene il +0,6% del pil italiano nel primo trimestre frutti una crescita già acquisita di +0,9% nel 2023»

Per la stessa serie bene-non-benissimo è arrivata la settimana scorsa  l’agenzia di rating Fitch: nel suo ultimo rapporto sull’Italia ha quasi raddoppiato le attese di crescita sul 2023, unico caso tra le grandi economie europee. passate dallo 0,5% all’1,1%. Ma ha anche ridotto quelle del 2024, che dall’1,3% scendono all’1%.

E c’è un altro numero che fa pensare: 3,99%. E’ il rendimento del BTp decennale, che dopo mesi venerdì per la prima volta è tornato sotto il 4%, in scia a una dinamica apparentemente paradossale che vede i tassi a lunga scadenza scendere proprio mentre le banche centrali alzano i tassi e si dicono pronte a farlo ancora.  Bene, ma non benissimo: pur sotto il 4% l’Italia paga sul decennale ancora molto più di tutti, compresa la Grecia con il suo 3,61%.

Forte e vulnerabile, l’Italia rischia di cullarsi nella forza del momento e dimenticare le vulnerabilità che si porta dietro?

(Nella foto, Stefano Zamagni al Passaggi Festival di Fano)