Perché Meloni fa bene a preoccuparsi di Moody’s

Più dell’inattesa mossa di venerdì notte, a dare il senso dell’umore degli investitori sul rischio Italia presente o futuro è la prossima (e attesa) scadenza che vede protagonista sempre Moody’s: il 30 settembre, quando l’agenzia sarà chiamata a esprimersi sul nostro rating. Tutto, veramente tutto, può succedere di qui ad allora in Italia e sui mercati. Ma il fatto che l’ardua sentenza sia fissata cinque giorni dopo le elezioni dà un’idea abbastanza chiara del momento in cui è destinata a finire la “sospensione del giudizio” da parte dei grandi investitori.

Il rimbalzo del BTp
La caduta del governo Draghi aveva destato nei giorni scorsi primi segnali da parte delle agenzie, con Fitch e la stessa Moody’s che il 19 luglio già si erano premurate di stigmatizzare i rischi collegati al destino incerto delle riforme legate al Pnrr, a cui era seguito un peggioramento dell’outlook (a stabile) da parte di S&P, che comunque ci vede un gradino più su di Moody’s. Mosse neanche troppo urlate per evitare di cadere nei tipici complottismi che trovano terreno fertile quando il dibattito politico si fa caciara. Poi, complice l’annuncio dello scudo anti-spread della Bce e soprattutto gli acquisti differenziati dei titoli in scadenza, tutto è tornato come prima. Anzi meglio: in settimana il BTp decennale è tornato sotto il 3% come non accadeva da maggio, riconsegnando la maglia nera dei rendimenti dell’eurozona al pari durata greco, comunque poco liquido e dunque relativamente significativo.

Perché lo spread è sceso
In queste settimane a raffreddare la volatilità sull’Italia hanno contribuito la discesa generalizzata dei rendimenti in tutta Europa, la liquidità comunque ancora super abbondante, i dati sull’economia reale e, pro quota, il fatto che Mario Draghi per ora sia operosamente in sella. Solo domani scopriremo se il cambio di outlook da parte di Moody’s basterà a risvegliare gli investitori dal loro apparente torpore. Di certo, almeno per qualche settimana, il sottostante non è destinato a cambiare e quindi è difficile immaginare radicali correzioni di rotta in questo mese di agosto. In cui, tuttavia, il costo di emissione dei nostri BoT, BTp e CcT è tornato a superare l’1 per cento, avvisaglia del fatto che – comunque – la marea sta salendo.

Gli esami di settembre
Da settembre, invece, lo scenario potrà cambiare, questa volta strutturalmente, in tutte le sue componenti: economiche, politiche, finanziarie. E per il BTp sarà il momento della verità. «L’economia italiana si sta dimostrando resiliente alla guerra in Ucraina, alle strozzature dell’offerta e all’aumento dei prezzi delle materie prime e dovrebbe continuare a crescere nel primo trimestre del 2023 dopo i dati “rassicuranti” del prodotto interno lordo del secondo trimestre», ha dichiarato venerdì un ottimista Luigi Federico Signorini, direttore generale di Bankitalia. C’è veramente da sperarlo. Onde non dover testare la reale efficacia del vero scudo Bce, o di quanto possa pesare, sulle sorti del nostro spread, la quota di BTp rimasta in mani estere: 461 miliardi, il 20,2% del totale.