Addio a Draghi. Chi rompe paga? E di chi saranno i cocci?

La vomitevole giornata di ieri ha consentito non solo di parlamentarizzare una crisi che aveva progressivamente preso forma negli ultimi mesi, accelerata dall’esito delle amministrative.

Soprattutto l’ha politicizzata e spersonalizzata.

Il tono del discorso di Mario Draghi era quello di chi si è rotto le scatole, ma i contenuti con riferimenti puntuali – non solo il Pnrr, ma anche il superbonus, la riforma del catasto e della giustizia, la posizione sull’Ucraina – sono i tornanti che aspettano l’Italia e che qualcuno, per interessi di varia natura, non intende affrontare. Cercando impervie scorciatoie o più comodamente restando fermi.

Rispetto a ieri, o a venerdì scorso, c’è un programma con un nome e un cognome. E ci sono alcune posizioni strutturalmente divergenti, con altri nomi, altri cognomi e altre simpatie geopolitiche chiaramente non atlantiste.

La campagna elettorale sarà comunque troppo breve per cancellare i punti su cui è caduto il Governo Draghi, e i soliti fantasmi non basteranno a oscurare una crisi che è già nelle nostre tasche e dopo l’estate lo sarà ancora di più.

Prepariamoci a settimane di passione in Borsa, sullo spread e di scommesse speculative contro l’Italia. Il solito film, a cui dovremmo essere abbastanza abituati da non farci prendere troppo la mano da complottismi vari. D’altronde anche su questo fronte per una volta non c’è spazio di equivoci su chi sia vittima e carnefice.

Lo scudo della Bce, che come il bazooka di Mario Draghi funzionerà tanto meno lo si dovrà usare, ci darà una mano. I maxi acquisti di BTp da parte della stessa Bce in questi anni hanno assottigliato sotto il 10% la quota di BTp in mano agli investitori esteri, un altro riparo contro la volatilità.

Ma sono reti fragili, che possono durare il tempo di un’estate. E a proposito di estati, concedeteci un’autocitazione di due anni fa, quando Draghi – era l’agosto 2020 – andò al Meeting di Rimini: era già quasi tutto scritto, epilogo compreso.