I soldi, ora, non sono il problema. È il verdetto più chiaro tra quelli arrivati venerdì da S&P, che sorprendentemente non solo non ha declassato l’Italia ma ha migliorato le previsioni, da negative a stabili.
Un giudizio algido come solo le agenzie sanno dare e per di più pensato qualche settimana fa, quando la seconda ondata non aveva ancora preso forma nella drammaticità di questi giorni. Ma letto ora ha un significato chiaro: l’emergenza ora non è nei conti pubblici, ma nella crescita. In questa fase è inimmaginabile, d’accordo, ma è adesso che c’è da salvare il salvabile, in modo da farsi ritrovare non del tutto morti quando la vita e i consumi torneranno alla normalità.
È il filo rosso che tiene legata l’economia globale con il bar sotto casa, passando per la sfilza di Dpcm, la paternale di Conte, i battibecchi con le Regioni, gli aiuti promessi che devono arrivare anche in parte a pioggia, diciamocelo, perché non c’è il tempo di distinguere ed è troppo alto il rischio di lasciar inaridire chi non se lo merita.
I galli nel pollaio
Con queste premesse, le vicende che animano il cortile finanziario italiano in questo autunno molto caldo non possono che passare in secondo piano. Contano meno, valgono poco. E poi le ha già messe in fila Alessandro Graziani, inutile ripetersi.
Se non con qualche cenno. A partire da Atlantia-Autostrade: non so come siano messi gli attori protagonisti della vicenda, ma la pazienza di chi assiste e chi racconta è ormai esaurita da tempo. Tra cavilli, pef e ultimatum si è perso il filo e dato fondo al dizionario dei sinonimi per cercare se non altro parole diverse per descrivere lo stesso film che si ripete all’infinito. In 26 mesi, l’indignazione che ha fatto seguito al crollo del Ponte Morandi si è trasformata in una pulciosa trattativa in cui le ragioni della politica e del mercato non trovano un compromesso e nessuno di chi li rappresenta – Atlantia, Cdp, il governo, i fondi, le authority – ha la voglia e il coraggio di decidere se a prevalere sarà l’una o l’altro. Di qui i mezzi accordi, le minacce, gli schemi, gli ultimatum. In pratica: lo stallo, totale. Che un nuovo passaggio a vuoto settimana prossima non farà che certificare definitivamente. Il problema è che la vicenda non è ignorabile: in ballo c’è un’infrastruttura chiave come una grossa fetta della nostra rete autostradale. Che deve essere in sicurezza ed efficiente. Ne va della nostra economia ma anche dei nostri spostamenti.
Piazzetta Cuccia e (soprattutto) dintorni
Per certi aspetti non è ignorabile neanche la conta dei voti all’assemblea di Mediobanca di mercoledì. Che cosa farà Del Vecchio? In quanti appoggeranno la terza lista che non è di maggioranza nè dei fondi? È come il voto alle regionali in Umbria: di per sè conta poco, ma aiuta a capire che cosa accadrà poi. Ovvero cosa ha intenzione di fare l’uomo che con i suoi 20 miliardi di euro può comprarsi più o meno cosa vuole dove vuole. E poi se nei tradizionali rapporti di forza delle grandi quotate possa spuntare – oggi qui, domani là – anche un terzo polo.
Infine Mps, che giovedì riunisce il cda per aumentare gli accantonamenti sui rischi legali. Anche qui, la vicenda non è ignorabile non tanto perché sullo stato di salute della banca ci siano tanti dubbi, ma ancora una volta Siena sarà il termometro della crisi che aspetta il settore. Le banche non sono ancora state travolte dallo tsunami ma sanno bene che non rimarrano a lungo all’asciutto. Una nuova ondata di crediti deteriorati, solo in Italia stimata almeno intorno ai 100 miliardi, tempo un paio d’anni e travolgerà i loro bilanci. Più la terapia sarà d’urto a Mps, più ci sarà da reggersi forte. Non solo a Siena.