Una ce l’ha fatta da poco, l’altra ci prova a partire da domani. Carige e Credito Valtellinese sono in ordine di tempo le ultime due banche italiane a misurarsi con il mercato, presentandosi con aumenti extra-large. Certo da raccogliere non ci sono i 13 miliardi che un anno fa di questi tempi portava a casa UniCredit, ma i 650 milioni di Carige e i 700 che servono ora al CreVal sono somme di gran lunga superiori al valore di borsa attuale dei due istituti, dunque trattasi di operazioni urgenti, imponenti e delicate.
Delicate per le banche e i loro azionisti, piccoli e grandi, ma anche per il resto del sistema finanziario.
Partiamo dal CreVal: a due settimane da elezioni dall’esito incertissimo sull’ex popolare della Valtellina l’Italia potrà misurare fiducia o sfiducia degli investitori globali. Con la Bce che fino a fine anno continuerà a comprare tonnellate di titoli di stato, i BTp sono nei fatti sterilizzati, dunque il termometro del rischio-Italia si sposta sulle azioni, e in quest’ottica non c’è niente di meglio di una banca di medie dimensioni, com’è appunto il CreVal. Chi sottoscrive dimostra di credere nelle potenzialità dell’istituto, sì, ma anche nella solidità del sistema bancario, della sua capacità di gestire la zavorra degli Npl e nella possibilità che l’Italia nel prossimo futuro possa godere di sufficiente stabilità politica ed economica da proseguire sulla strada della (pur lenta) crescita.
Condizioni necessarie perché anche il CreVal possa rimettersi in carreggiata, tornare a fare utili e quindi trovare la via di un’aggregazione, fondamentale per resistere su un mercato bancario sempre più competitivo e impraticabile per chi non ha le spalle abbastanza larghe.
E qui torniamo a Carige. Che l’aumento l’ha chiuso a fine 2017, ma ora si trova nella necessità di dimostrare che se l’è meritato. Superando le divisioni interne (i rapporti tra il socio di controllo Malacalza e il ceo Paolo Fiorentino sono a dir poco altalenanti) e tornando a fare la banca e macinare utili. Senza i quali, anche qui, sarà difficile trovare un partner, necessario.
In Carige prima, al CreVal ora in occasione degli aumenti si sono allestiti consorzi di garanzia molto nutriti. Segno che le grandi banche d’affari, da Mediobanca a Credit Suisse fino a tutte le principali istituioni estere, hanno deciso sì di garantire il buon esito ma al tempo stesso hanno preferito spartirsi in tante piccole parti il rischio (che evidentemente c’è). Non solo: in entrambi i casi si è sperimentata la formula del sub-garante di prima allocazione: il reclutamento di operatori finanziari (Algebris, Fonspa, Dorotheum,…) che in vista di future sinergie – dagli Npl al business dei pegni – si impegnano a sottoscrivere parte dell’aumento, nei fatti salvaguardando la sopravvivenza del partner.
E i piccoli soci? Trattandosi di aumenti iper-diluitivi, chi non partecipa a questo genere di operazioni vede praticamente cancellato il proprio peso dentro all’azionariato, e quindi la quota di utili di propria spettanza se e quando si materializzeranno in futuro. Chi sottoscrive, invece, difende il proprio peso, ipoteca la propria quota di dividendi futuri e l’eventuale guadagno derivante da una crescita del titolo o da un’aggregazione futura. Ma il rischio c’è, come si legge nei prospetti chilometrici. E alla fine è tutta questione di fiducia: sulla banca e sull’Italia.