Giusto il tempo di veder sopite le polemiche sulle pressioni del ministro Boschi sull’ex ad di UniCredit per salvare l’Etruria e all’inizio di questa settimana scopriamo che un altro salvataggio bancario – ben più grosso e complicato – è a un passo dal burrone.
In realtà, già la settimana scorsa erano emersi nuovi sinistri scricchiolii dalla trattativa tra l’Italia, la Commissione europea e la Bce su Popolare Vicenza e Veneto Banca. Puntuale come un orologio,mercoledì l’amara conferma: in una maxi riunione negli uffici dell’Antitrust, è emerso che Bruxelles pretende che nella ricapitalizzazione (che resta di 6,4 miliardi) i privati ci mettano un miliardo, forse uno e mezzo in più e lo Stato uno in meno per autorizzare giustapppunto l’ingresso dei capitali pubblici. Una vera iattura: per una volta che i soldi pubblici – pur a debito – ci sono, l’Europa non ce li fa usare. C’è un elemento paradossale, anzi aberrante: il conto è salito perché mentre ci si perdeva in interminabili discussioni nel primo trimestre sono salite le perdite probabili sui crediti deteriorati (che per legge non possono essere coperti dallo Stato) delle due banche; in pratica, lo schema salta perché si è perso troppo tempo per negoziarlo e intanto lo stato di salute delle banche si è ulterioremente deteriorato, proprio come i suoi crediti. Quindi servirebbe un privato, pure santo (o scemo), cioè disposto a mettere i soldi in una banca sulla via della nazionalizzazione, e quindi disposto a perderli o comunque a non contare nulla. Mercoledì sera l’umore sull’aereo si ritorno era dei peggiori, i vertici delle banche hanno pensato anche di dimettersi e il rischio del bail in è sembrato a un passo. Il ministro Padoan l’ha smentito, pare – o almeno pareva ieri sera – che l’Italia voglia provare ad alzare la voce o comunque ad avere un sconto, magari sfruttando la presenza del presidente della Commissione Juncker a Taormina per il G7. Questa sì che sarebbe una notizia.
Rispetto alle Venete è una passeggiata, ma anche Mps è ancora lì ad aspettare l’ok di Bruxelles e Francoforte sul suo piano industriale che dovrebbe consentire l’ingresso dello Stato. Emergono ancora divergenze sul taglio dei costi (cioè su personale e filiali), ma pragmaticamente si spera che visti i casini su Veneto e Vicenza sia la Bce che la Commissione al Monte la facciano trovare un po’ più facile. E intanto, in settimana si è materializzata una piccola novità che può avere un grande effetto nel mercato italiano dei crediti deteriorati: insieme ad Atlante, le tranche junior e mezzanine della cartolarizzazione da 27 miliardi saranno comprate da Fonspa e Fortress, due soggetti di mercato. Gli Npl dovrebbero uscire dalla banca intorno al 20% del valore facciale: Atlante comprerà a un prezzo più basso di quello gentile (27%) offerto un anno fa, Fortress e Fonspa a un prezzo meno brutale della media di mercato. Forse è il segno che domanda e offerta si stanno finalmente avvicinando, premessa necessaria per una velocizzazione delle cessioni.
Lo scoprirà presto Carige, al centro di un nuovo passaggio non facile. Le idee sono confuse, o meglio il cda è spaccato, sul come affrontare l’aumento di capitale da (almeno) 450 milioni in arrivo a breve con annessa vendita di npl: oggetto del contendere la possibile conversione di un bond in mano a Generali per 80 milioni. Considerato che la banca oggi ne capitalizza poco più di 200, il Leone con quel bond potrebbe scompaginare la governance del gruppo e anzitutto offuscare la primazia del socio Malacalza, che la controlla con circa il 20%: al cda di martedì prossimo si preannunciano scintille.
Fiat, che da un po’ la trova durissima negli Usa, ha promesso di fare presto chiarezza sulle accuse relative ai suoi motori diesel. Chissà che ne abbiano parlato Sergio Marchionne e Donald Trump nell’incontro a Roma che hanno avuto in settimana in via Veneto all’ambasciata.
Cassa depositi e prestiti incassa una seconda sconfitta in sei mesi. Dopo aver perso Pioneer, l’asset management che UniCredit alla fine ha preferito vendere ai francesi di Amundi (decisione ufficializzata proprio il giorno dopo del mitico referendum di dicembre, guarda un po’), ieri si è vista sfuggire di mano anche l’Ilva. I commissari hanno infatti dichiarato che prima in classifica è l’offerta di Arcelor, insieme a Marcegaglia e Intesa Sanpaolo, che dopo aver venduto molte vecchie partecipazioni si prepara ad averne una nuova. In realtà in Cassa e fuori c’è chi considera questa vicenda (e pure l’altra) un pericolo scampato, ma intanto così è andata. Qualche altro modo di spendere i suoi soldi, anzi i nostri, lo troverà senz’altro.
(Nella foto, lo stabilimento Ilva di Taranto)