PopVicenza, Veneto e Mps, ovvero come una banca muore di malasanità

La Commissione europea, e anche un po’ la Bce, con il contributo decisivo dell’Italia, hanno sperimentato che cos’è la malasanità. La peggiore, ovvero quell’impasto di burocrazia, sciatteria, rimpallismo, deresponsabilizzazione e mollezza che alla fine rende grave un paziente che prima non lo era, o addirittura lo fa morire.

E’ avvenuto, e sta avvenendo in queste ore con il Monte dei Paschi, Popolare di Vicenza e Veneto Banca. E per l’Italia non è una buona notizia: insieme fanno un pezzo importante del sistema bancario, e perderne anche solo una – con l’avvio di una procedura di risoluzione che potrebbe portare anche al bail in – significherebbe sommergere con un’ennesima ondata di sfiducia tutto il settore, con danni anche più gravi di quelli che economicamente sosterranno azionisti e obbligazionisti eventualmente coinvolti.

Il futuro, forse, si deciderà nei prossimi giorni. Certo l’Italia, come ipotizzavamo pochi giorni fa, avrebbe buone ragioni per alzare la voce, ma con tutto quello che ha ottenuto dalla Commissione europea sui conti pubblici non può permetterselo. E quindi più che darle anche stavolta cercherà di incassarne il meno possibile.

Per ora concentriamoci un attimo sul presente e sul passato più recente. Parliamo delle due venete, ma per il Monte la storia è molto simile. Da anni sia la Popolare di Vicenza che Veneto Banca sono osservate speciali, e soprattutto da quando – a novembre 2014 – i compiti di Vigilanza sugli istituti più grandi sono passati dalla Banca d’Italia alla Bce. Come uno specialista ospedaliero che prende il posto del medico della mutua, vedendo che alcuni – molti – sintomi erano stati sottovalutati, decide di sottoporre il paziente a un numero crescente di visite, controlli ed esami diagnostici.

Ogni volta arrivano brutte notizie. E allora si ordina di cambiare la dieta, le abitudini, il lavoro, pure la moglie Ma non basta. A un certo punto si passa alle maniere forti: serve una trasfusione. Così, assicurano i medici, il paziente guarirà. Ma serve un donatore, che non si trova: gli altri pazienti in lista hanno un punteggio maggiore, alla fine non resta che rivolgersi alla famiglia. Un po’ di sangue ce lo mette la mamma, un altro il papà (piuttosto anemico, peraltro), un po’ i cugini, le nonne, gli zii. La trasfusione, alla fine, si fa.

Tutto bene? Magari. Ormai è un calvario. I medici si moltiplicano, i pareri e le diagnosi si sprecano, si smentiscono l’uno con l’altra, il capofamiglia che ha procurato il sangue vuol dire la sua. Ma intanto il malato peggiora, si perde tempo, peggiora sempre di più. Ora, oltre al medico della mutua e allo specialista ospedaliero di mezzo c’è anche il centro nazionale trapianti, l’istituo europeo di oncologia, la stazione spaziale internazionale… ognuno dice la sua, in lingue diverse, con protocolli diversi…….. aiuto !! Il paziente,  allettato, non ce la fa più. Nei suoi rari momenti di lucidità capisce che se anche dovesse sopravvivere alla cura, la vita non sarà mai più quella di prima. E allora, forse…..

Eccoci, qui siamo. Al forse.

Torniamo alle due banche:

  • 11 tra amministratori e ad cambiati in tre anni
  • quattro aumenti di capitale
  • l’azzeramento dei soci storici
  • la trasformazione in Spa
  •  l’ingresso di Atlante
  • la prescrizione da parte della Bce di fondersi salvo poi non esserne convinti
  • le inchieste giudiziarie
  • il paracadute di Stato che c’è ma non si può aprire se non arriva un altro aiutino dai privati.

Troppi medici, troppi rimpalli, troppa burocrazia, troppo tempo perso.

Con il paradosso finale: a quanto pare, il miliardo in più a carico di un privato (in realtà un santo o uno scemo, considerato che sono soldi buttati) è dovuto alle perdite sulle nuove sofferenze maturate nel primo trimestre di quest’anno. In pratica, la terapia si è fatta più dura per rimediare al tempo perso in questi mesi.

Non so, ma a me viene in mente solo la malasanità. In formato europeo.