Più di Alitalia o Carige mi preoccupa Jp Morgan, con Ferrari e Moncler

Di questi tempi capita spesso di temere che le cose, in realtà, stiano peggio di come ce le raccontiamo. O, comunque, stiano rapidamente volgendo al peggio, chissà dove. La pensa più o meno così Jamie Dimon, il longevo e potente numero uno di Jp Morgan: venerdì, presentando dei conti record per la sua banca, che tra luglio e settembre ha fatto 8,3 miliardi di dollari di utili, ha detto che nel mondo c’è una “situazione esplosiva”. Il motivo, dice lui, sta in 7 diversi focolai di crisi geopolitica, che vanno dall’Argentina fino alla Brexit e alle delicate vicende italiane.

Ce lo meritiamo, non c’è dubbio. Il nostro dotto e prolungato dibattere di euro sì/euro no ci è già costato non poco, come ha ricordato Draghi ieri mattina da Bali.

Forse sbagliamo, però, a pensare che siamo noi la (sola) causa del nostro male. Stamattina guardando come sono andati i principali titoli di Piazza affari nel corso della settimana, mi sono saltati all’occhio Moncler e Ferrari, che hanno perso  rispettivamente il 15,6% e il 12,9%. Ovvero più del doppio del Ftse Mib, banche comprese. I due titoli hanno seguito le sorti del comparto del lusso, che in tutto il mondo ha preso una sberla notevole per i timori legati alla guerra dei dazi tra Usa e Cina, che ridurrà le capacità di acquisto dei principali mercati globali di prodotti assai costosi, come ha gufato Morgan Stanley.

Un episodio, niente di più, che però basta a ricordarci che l’Italia per quanto piccola e marginale si trova inserita in una serie di ingranaggi da cui possono arrivare mazzate aggiuntive a quelle che ci stiamo dando da qualche mese a questa parte.

Per esempio, la Bce che si appresta a terminare il Qe è solo uno dei tanti fattori che stiamo prendendo sottogamba.

E che dovrebbero stimolarci a maneggiare con cura alcune partite che si decideranno nei prossimi mesi. Penso ad Alitalia, ad esempio, su cui si studia una rinazionalizzazione immemore degli 8,6 miliardi che è già costata allo Stato negli ultimi 40 anni, o dei 5,5 miliardi che sempre lo Stato ha finora perso (e non contabilizzato nel debito) sul Monte dei Paschi in un solo anno, cioè da quando è tornato in Borsa. Per non parlare di Carige (anche qui si balla sull’orlo del precipizio, con la Bce che chiede improbabili nozze in pochi mesi) e, per restare a Genova, dello sterile battibecco che non ha ancora portato a individuare chi ricostruirà il ponte Morandi. E intanto sono passati due mesi dall’incidente.

Mala tempora currunt sed peiora parantur, dicevano i nostri nonni. E più di una volta ci hanno azzeccato. Chissà. Intanto, per non rovinarci la domenica (ma in fondo ci vuole ben altro), consoliamoci con il Portogallo: venerdì sera anche Moody’’s, dopo S&P e Fitch, ha alzato il rating portandolo a “investment grade”. Dalle stelle alle stalle e ritorno. Forse di buon auspicio per tutti, pure per noi.

  • Simone |

    Tutto questo porterà alla crescita delle criptovalute in particolare del bitcoin.

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