Ieri mi sono messo in viaggio in autostrada. Per fortuna non puntavo sulla Liguria, e per superare il traffico (che fa quasi piacere, a noi cacciatori di ripresa) è bastato qualche zigzag suggerito da Isoradio. Che era una specie di monotematico bollettino di guerra in cui si parlava delle ore di coda nei dintorni della A10 Genova-Ventimiglia.
In parte mi ha fatto tornare indietro di 30 anni, quando i 150 chilometri che ci separavano dal mare erano una specie di triangolo delle Bermuda in cui si sai quando entri ma chissà come e quando esci. E in mezzo può capitare di tutto. Quando poi il responsabile di tronco, interpellato con una voce evidentemente imbarazzata dal collega Rai, ha spiegato – senza alcun imbarazzo, lui – che i cantieri sono aperti perché il Ministero ha chiesto di ripetere controlli già eseguiti, non ho potuto non chiedermi quello che ha scritto oggi Claudio Tito su Repubblica: l’apocalissi creata in questi primi giorni di estate sarà mica parte del tavolo negoziale che il gruppo Autostrade-Atlantia-Edizione ha aperto da due anni con il Governo?
Il maxi ingorgo
Non sarà certo così, ma se per pura ipotesi lo fosse dimostrerebbe che ormai la vicenda ha raggiunto un livello di surrealtà e autolesionismo da derubricare a mero danno collaterale le immense rotture di scatole causate a decine di migliaia di persone così come i mancati introiti delle “gratuità” concesse in seguito agli “accodamenti” di questi giorni (testuali parole del malcapitato dirigente Aspi). E dunque veniamo al punto: a 23 mesi meno nove giorni dal crollo del Ponte Morandi siamo ancora qui a dover decidere come fargliela pagare ai Benetton. Questione giuridicamente e politicamente troppo complessa perché il governo, prima quello gialloverde poi quello giallorosso, potesse quagliare: parole, proclami, minacce ma siamo ancora al punto di partenza nonostante un paracadute finanziario per consentire l’uscita parziale o totale dei Benetton nel frattempo si è costruito con la cordata di F2i&co.
Del tempo che è un fattore chiave dovunque tranne che in Italia se ne scrive ogni settimana qui in Kordusio. Oggi proviamo a prenderla leggermente diversa, e cioè a sottolineare come in questi due anni si è parlato solo di buoni e cattivi (questione politica) e di tariffe, clausole, revoche (questione iper-tecnica pallosissima). Poco, o nulla, invece di che tipo di autostrade può aver davvero bisogno oggi e domani l’Italia, con l’unica eccezione del Ponte sullo Stretto, quasi sempre messo sul tavolo per populismo e non per il pragmatismo che meriterebbe un’infrastruttura comunque rilevante. Niente da fare: un’occasione che poteva, anche per rispetto alle vittime del Morandi, innescare un’analisi seria è diventata ennesima palude. Che, forse complice il surriscaldamento globale e l’inesorabile invecchiamento certificato dall’Istat, è il nostro nuovo ecosistema.
Dove la politica sguazza ma non è unica – siamo onesti – responsabile.
Di palude in palude
Nelle paludi, quelle tropicali, vivono alcune delle oltre 300 specie di Colibrì. Uccello piccolo, bello e simpatico che in settimana ha spopolato in Italia grazie alla vittoria al Premio Strega del romanzo a esso dedicato di Sandro Veronesi. Non è mio tema e mi muovo con circospezione e rispetto, ma umilmente confesso che dopo averlo letto qualche settimana fa è già volato via dalla mia testa, come ho scritto a un’amica che non sentivo da tempo. Mi ha colpito però leggere quanto ha scritto oggi sul Domenicale Gianluigi Simonetti a proposito non solo del Colibrì ma di tutti i sei libri arrivati in finale, accomunati, semplifico, da un mix di sensi di colpa, bisogno di protezione e buoni sentimenti (cioè necessità di un finale positivo). Eccole qui, alcune tracce evidenti di quella palude in cui forse volano invisibili i colibrì ma sicuramente siamo imprigionati noi tutti, dal bar sport ai circoli che contano.
Due passi avanti, uno indietro e uno di lato. Così si marcia nella palude, teorizzata da Matteo Renzi in un momento di evidente lucidità.
Dai libri al calcio
E pensare che gli attributi ce li abbiamo. E che attributi. In settimana si celebra il record di presenze in serie A di Gigi Buffon, che mi dà l’idea di essere un fuoriclasse ma anche un uomo, con quegli alti e bassi così umani che negli anni recenti me lo hanno reso ancora più simpatico. Anche perché per fare il portiere devi avere due attributi così, credo. Gigi personalmente non lo conosco, ma conosco tanti altri che gli assomigliano.
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Ecco, appunto: sensi di colpa, protezione e lieto fine.