Reduci da settimane di costruttivo e appassionante dibattito sul Meccanismo europeo di stabilità, sentivamo il bisogno di un nuovo innesco politico di carattere bancario, com’è quello della Popolare di Bari. I primi segnali sono incoraggianti: bando ai personalismi e massima attenzione da parte di tutti a rimandare i dettagli e salvaguardare i delicati ingranaggi economici e sociali che muove un istituto di credito, e che per funzionare necessitano essenzialmente di una cosa: la fiducia.
Magari.
Premesso che in un paese strutturalmente bancocentrico come l’Italia è logico e apprezzabile che il credito occupi stabilmente la scena politica, l’accanimento superficial-giustizialista di questi anni ha prodotto così scarsi risultati da rendere evidente che di questo passo si va poco lontano. E da auspicare un salto di qualità che ancora non si vede.
Nel 2015 il salvataggio delle quattro banche dell’Italia centrale, tra cui l’Etruria a trazione Boschi, è stato uno spartiacque politico per il governo Renzi. Che un anno dopo per mesi ha cercato invano di gestire i casi Mps, Popoare Vicenza e Veneto Banca, poi sbloccati in poche ore dal nuovo esecutivo targato Gentiloni. Mentre le ferite parevano finalmente in via di guarigione, nel 2018 il neo premier Giuseppe Conte le riapriva annunciando dal Quirinale che il ristoro non solo dei risparmiatori ma addirittura degli azionisti sarebbe stato priorità del governo gialloverde: una mezza debacle, a giudicare da numeri e umori delle associazioni che li tutelano. Intanto maturava la crisi di Banca Carige, e pur di evitare lo stigma di esecutivo salva-banche un anno fa veniva rinviato fino all’ultimo momento buono (il 1° gennaio) il commissariamento dell’istituto con annesso paracadute pubblico. E ora ci risiamo con Bari, dove prima si è fatto finta di non vedere gli strumenti che si provavano a imbastire in questi mesi e ora ci si trova con poco tempo e, naturalmente, spaccati. Perché il presunto stigma ormai è di tutti, dal Pd ai Cinque stelle e alla Lega, ed è un rinfacciarsi continuo di responsabilità.
Quattro anni di crisi cannibalizzate dalla politica e salvate in zona Cesarini da funzionari costretti a trattare in Bce e Francoforte quasi senza copertura hanno ampiamente dimostrato che il filo che lega chi governa con il tema delle banche è sottilissimo. Il rischio di perdere il controllo e farsi sommergere è assai elevato e al tempo stesso i ritorni paiono alquanto modesti, come dimostra la vicenda Mes. Che si è rivelata un’ennesima resa dei conti senza alcun risultato concreto né in termini di sostanza né di consenso, visto che ormai la retorica dell’Europa brutta e cattiva ha chiaramente stancato un po’ tutti. E pensare che di battaglie da combattere, in Italia e in Europa ce ne sarebbero tante, e molto più utili per accertare le reali responsabilità e tutelare la salute del sistema bancario e di conseguenza per l’appoggio che può dare, alla vigilia di una fase economica non facile, a un Paese di risparmiatori e piccoli imprenditori.
(Nella foto, bambini e adulti in fila davanti al teatro dei burattini all’inizio del secolo scorso. Da Wikipedia)