Tra Popolare Vicenza, Veneto Banca e San Servolo: grandi problemi e microsoluzioni

Prima ho corso dietro a una pazza idea, poi dietro alla sorte di Popolare Vicenza e Veneto Banca. Per un motivo o per l’altro sono stati giorni pieni e un po’ particolari. Uno più degli altri, e cioè giovedì. Mi sono ritrovato (volontariamente) recluso all’isola di San Servolo, suggestivo ex ospedale psichiatrico di fronte a Piazza San Marco, dove si teneva la conferenza annuale di Emn, la rete europea della microfinanza. E di lì, mentre un neurone si occupava di microcredito, l’altro invece cercava di capire qualcosa sulle ex popolari venete.
 
Non sono una donna e quindi fatico a fare due cose alla volta. E così non è stato facile mettere insieme quel che ascoltavo con quel che scrivevo. Una frase però mi ha aiutato a fare sintesi e mi è rimasta nella testa, anche ora che siamo a domenica e il benedetto decreto di salvataggio non è ancora arrivato (a conferma di quanto sia tutto complicato): se vogliamo cambiare e migliorare il sistema finanziario dobbiamo imparare ad ascoltare le domande che arrivano dalle voci del microcredito (copyright di Ugo Biggeri, presidente di Banca Etica). 
 
Venerdì, poi, alla fine della conferenza è stata firmata la Venice declaration, un appello all’Europa per il supporto alla microfinanza che tra i tanti aspetti rivendica il ruolo di soggetto capace di riavvicinare la finanza all’economia reale.
 
Eccoci. La frase di Ugo e questo passaggio per me stanno insieme, e stanno insieme anche al grande pasticcio della Popolare di Vicenza e Veneto Banca. Ora, giustamente, siamo qui a dirci quanto sia costosa e tardiva la soluzione del problema. Ma il punto resta il problema, cioè come sia stato possibile che per 30 anni si siano potute costruire sulla menzogna, un pezzo alla volta, due banche così grandi che ora bisogna (è vero) salvarle a tutti i costi. 
 
Le menzogne venivano vendute ma anche comprate, da un lato c’era il dolo (dei peggiori, probabilmente) e dall’altro la colpa (accompagnata in molti casi dalla buona fede), ma la falsa verità in cui ci si è cullati era la stessa, basata su una fiducia di cui si è fatto abuso e che quindi non potrà mai essere del tutto risanata.
 
Se tutti si restava con i piedi per terra forse non si sarebbe arrivati a tanto. Se si fossero ascoltate le domande di chi la fiducia ce l’aveva davvero, se – tutti – non si fosse perso il contatto con la realtà dell’economia e con l’economia reale, forse oggi non saremmo qui ad aspettare che un Governo in una domenica di giugno metta a rischio i conti dello Stato e la credibilità dell’Italia in Europa per risolvere un problema. Back to basis, almeno la prossima volta.