Lo Stato entra, lo Stato decide, lo Stato controlla. C’è un po’, un po’ tanto Stato, in tutte le vicende che hanno tenuto banco in questi giorni.
A partire dalle nomine nelle aziende della galassia pubblica: Eni, Enel, Poste, Leonardo (la vecchia Finmeccanica). Ieri sera doveva arrivare la lenzuolata, che invece è stata rinviata di qualche ora. Ma sembra ormai delineata nei suoi pezzi forti: in Poste a Francesco Caio non è bastato presentare un bilancio record e un maxi-dividendo (anzitutto a Tesoro e Cdp) per guadagnarsi la conferma e così lascia il posto a Matteo Del Fante, in arrivo da Terna. Per un energetico che diventa semi-banchiere, un banchiere vero che diventa industriale: Alessandro Profumo, ex ceo di UniCredit e presidente di Mps, prende il posto di Mauro Moretti alla guida di Leonardo. All’ex ‘ferroviere’ non è bastato tornare a distribuire dividendi: la condanna in primo grado per la strage di Viareggio gli è costata la ri-condanna della politica, che in questo caso è anche – ahilui – azionista. Queste le chicche, il resto della lenzuolata qui.
Per uno Stato che fatica a uscire, un altro Stato che sta per entrare: Popolare Vicenza e Veneto Banca giusto ieri sera hanno lanciato l’Sos al Governo. Così come aveva fatto Mps poco prima di Natale, anche alle due ex popolari venete servirà un salvagente pubblico per restare a galla. Si vocifera di un nuovo maxi aumento da circa 5 miliardi per le due banche (ormai proiettate verso la fusione), e senza lo Stato non si sa dove trovarli: il fondo Atlante, finanziato dalle altre banche insieme a fondazioni e assicurazioni, è rimasto solo con 1,7 miliardi ed è già tanto se conserverà la maggioranza. Prima dell’aumento, però, si deve chiudere positivamente l’offerta di transazione ai soci (c’è tempo fino a mercoledì), necessaria per cancellare rischi legali per alcuni miliardi, quanto basta per affondare le banche prima ancora che arrivi il salvagente. In ogni caso, in tempi di bail in, la situazione resta delicata.
Per uno Stato che entra, un altro che è uscito da tempo ma ancora monitora, trattandosi di Alitalia. Il piano messo a punto dall’ad dimezzato Cramer Ball, finanziato in larga parte da Etihad, approvato (e anche un po’ finanziato) dalle banche azioniste/creditrici Intesa e UniCredit ora c’è, e pare sufficiente a evitare il peggio – leggi fallimento – per la compagnia, i lavoratori, i passeggeri, l’indotto, gli amministratori presenti e passati (tra cui il ceo di UniCredit, Jean Pierre Mustier). Ma la cura, come previsto, sarà lacrime e sangue: taglio degli stipendi, flotta ridotta e 2mila gli esuberi solo sul personale di terra. Sciopero il 5 aprile, in bocca al lupo a chi deve volare nei prossimi mesi.
E’ stata una settimana importante anche per Il Sole 24 Ore, che da 10 anni mi paga lo stipendio e sta attraversando uno dei momenti più difficili della sua storia: dopo lo sciopero a oltranza della redazione del giornale, il cda ha cambiato la direzione (letteralmente). Ora si aspettano i dettagli del piano industriale e l’aumento di capitale, ma intanto ieri la notizia riportata dai colleghi di Repubblica di un interesse (respinto) di Vivendi.