Oggi Fiat e Peugeot celebrano un momento che segnerà la storia dell’auto, la nascita di Stellantis. Al di là delle varie e legittime sindromi da scippo, c’è una questione nodale: chi vincerà la grande sfida industriale, tecnologica e finanziaria? Ripropongo la riflessione pubblicata sul Sole il 5 gennaio scorso: grazie a chi ha già condiviso con me varie interessanti riflessioni, e a chi vorrà farlo qui in Kordusio.
Stellantis parte a trazione francese.
Lo suggeriscono i termini della fusione indicati nel prospetto, lo conferma la presenza di Carlos Tavares alla guida del gruppo, dove peraltro Parigi figura tra i principali soci. Ma ci vorrà del tempo per capire chi ha veramente vinto la grande partita delle nozze Fiat Peugeot, e quale sistema economico e sociale si sarà aggiudicato i maggiori benefici della più grande alleanza industriale che l’auto abbia mai visto.
L’Italia farebbe bene a rendersene conto per non salutare definitivamente un treno che – volendo – può ancora provare a non perdere del tutto.
Non c’è nulla di scontato quando si volta pagina in una grande storia industriale. Figuriamoci in una fase di una trasformazione epocale come quella in corso, dove sul tetto del mondo – per valore di Borsa – c’è Elon Musk con la sua Tesla, capace di sfornare appena mezzo milione di auto in un anno. E la dimostrazione arriva da un’altra vicenda maturata in casa Fiat: dieci anni fa, proprio alla data di ieri, debuttava in Borsa lo spin off di Fiat Industrial. Alzi la mano chi, a inizio 2011 con Chrysler ancora da integrare e Ferrari blindata nel gruppo, avrebbe immaginato la resilienza di camion e trattori. È bastata (si fa per dire) una strategia industriale semplice e chiara condita con gli investimenti giusti nelle tecnologie giuste per fare di una semplice aggregazione di asset un gruppo capace di competere su scala globale senza abdicare al baricentro produttivo italiano.
Stellantis parte da premesse molto diverse, in Fiat oggi c’è già molta più America che Italia, ma questa volta la posta in palio è talmente grande che di benefici potenziali ce n’è per tutti. Proprio come nel caso di Fiat Industrial, per l’Italia, sarà decisivo esprimere quel mix di competenze, tecnologia e sensibilità a livello di ecosistema nazionale necessari a immaginare e costruire il futuro dell’auto.
In pratica, ci sarà bisogno non solo e non più di una politica industriale, di cui l’Italia è ormai orfana da decenni, ma anche di una politica per l’alta formazione e l’innovazione. È così che il sistema-paese può ambire se non a vincere, almeno a non perdere la partita di Stellantis.
Tavares resterà alla guida del gruppo a lungo, ma non in eterno. Più difficile sarà scalzare Exor dal suo ruolo di azionista di riferimento del gruppo, un azionista molto più attento a difendere i propri interessi che quelli dell’Italia ma difficilmente disposto a tollerare sgarbi ingiustificati, come dimostra l’abbandono improvviso del tavolo con Renault.
Il silenzio della politica che ha accompagnato le nozze non è di buon auspicio. Così come la vicenda Fincantieri-Stx, un progetto industriale ambizioso lasciato a galleggiare per tre anni semplicemente perché nessuno dei tre governi che si sono succeduti, di tutti i colori possibili, ha trovato la forza di chiudere la partita. Con Stellantis non c’è in ballo solo il futuro di fabbriche e posti di lavoro, ma il ruolo che l’Italia potrà avere in un settore storicamente cruciale per l’innovazione tecnologica com’è l’auto. Per vincere non bastano i soldi, né armi spuntate alla golden power. Basterebbe qualche buona idea, e la determinazione necessaria a perseguirla.