Un metro. Tra le tante lezioni del virus, c’è anche quella della distanza. Che adesso è legge. Non so quale sia la pena per i trasgressori, ma c’è chi al bar te la fa rispettare prima di prendere un caffè al banco. C’è il sacerdote che te lo ricorda in Chiesa. C’è il capotreno che ti invita a sfruttare il vagone quasi deserto. Un amico da cui sono stato l’altro giorno ha tirato fuori da un cassetto, per scherzarci su, una vecchia bacchetta da lavagna.
Ma qual è la giusta distanza?
Ci dicono che per ridurre le probabilità di contagio è quella di un metro. Cioè di un passo, due braccia distese, una sedia (vuota). Ci fidiamo, per carità, ma chissà se a 50 centimetri è zona rossa o se a due metri il pericolo è zero. Poco importa, è una specie di provocazione: basta stare a distanza. Alla giusta distanza. Per me che sono un espansivo a cui viene spontaneo baciare, abbracciare, toccare, non è facile. Ma sto facendo esercizio, e sono diventato abbastanza bravo. Al massimo – mi è capitato prima – mi viene ancora da stringere la mano. Ma perderò anche questa abitudine.
Mentre faccio pratica, in questi giorni, mi è venuto da pensare più volte alla distanza, alla giusta distanza. Che è un concetto sottile, ma così bello e solitamente snobbato nella bolla socialtecnologica che ha tutti avvicinato e allo stesso tempo allontanato.
Oltre alla giusta distanza di sicurezza, questa strana, e drammatica, situazione che ci avvolge però mi ha fatto pensare anche ad esempio alla giusta distanza tra volere e potere, che di solito si mischiano al punto da non distinguerli più. Con le palestre chiuse, le frontiere bloccate, i concerti cancellati, i negozi semivuoti e la sensazione che arriverà una batosta anche sulle nostre tasche… improvvisamente è chiaro a tutti che non tutto è possibile e i superpoteri esistono solo nei cartoni animati, o alla Casa Bianca di Donald Trump.
E poi c’è la giusta distanza tra le parole. L’ho già scritto qualche giorno fa, ma in questa preoccupazione generale quanto pesano le parole…. e quanto grande è il bisogno di parole autorevoli, come ha scritto in un articolo meraviglioso Giuseppe Lupo sul Sole di ieri. È la fine, e meno male, del “questo lo dice lei”, della mia parola contro la tua a prescindere dalla competenza, del ruolo, dell’esperienza: ne abbiamo avuto davvero abbastanza.
In Italia, in Europa, nel mondo in questo momento eccezionale si sta – per fortuna – ragionando sulla necessità di qualche strappo alla regola. E allora, qual è la giusta distanza tra regole ed eccezioni? Il Governo, giustamente, ha chiesto di sforare i limiti di bilancio imposti dalle regole europee. Ma nell’emergenza di oggi, quanto ci fanno sorridere i dibattiti infiniti di ieri sull’Europa brutta e cattiva che non ci concede di sforare di uno zero virgola per finanziare nient’altro che una mancia. Ogni regola ha la sua eccezione, ma per meritarla la situazione deve essere eccezionale. E non sempre lo era, mi pare a questo punto.
Ma alla fine, forse, la giusta distanza più difficile da calcolare è quella tra noi e gli altri: chi amiamo, chi lavora con noi, chi incrociamo. Ognuno ha la sua distanza, merita la sua distanza. Piccola o grande che sia. Chissà che, quando la legge del metro sarà finalmente decaduta, questa lezione del virus non ci lasci qualcosa.
(Mi scuso con i lettori per il ridotto contenuto finanziario degli ultimi post, ma anche in Kordusio ogni regola ha la sua eccezione).