In settimana sul Sole ho scritto qualche riflessione a margine delle nozze tra Fca e Psa. Qualcuno mi ha detto che sono stato troppo generoso, altri mi hanno scritto che sono stato troppo duro. Per ora io non ho cambiato idea: il dibattito resta aperto, tutti invitati.
Chi paga il conto della quadratura perfetta
Quasi undici miliardi agli azionisti prima ancora di cominciare. Poi la salvaguardia di tutti gli stabilimenti produttivi e la generazione, immediata, di cassa. Infine, l’impegno a riunire da subito le forze sulla strada dell’innovazione. Sulla carta, il matrimonio tra Fca e Psa fa tutti contenti: il mercato, i sindacati, i governi. La conferma è nelle reazioni, unanimemente positive, a una quadratura del cerchio che pare perfetta.
Così perfetta da chiedersi se non poteva essere trovata prima, considerata la smania da consolidamento che agita il settore dell’auto. Che come tutti quelli semimaturi, è da anni alla disperata ricerca di efficienze. Appunto: in un’industria sulla via di un ridimensionamento strutturale c’è spazio per accontentare tutti? Difficile pensare che possa reggere nella fase attuativa, anche per un uomo dei miracoli come Carlos Tavares. Piuttosto, la sensazione è che qualcuno il conto dovrà saldarlo.
I veri rapporti di forza
Non subito. Ci vorrà del tempo, non poco, per mettere in moto il motore del quarto produttore auto del mondo. E quando ciò sarà accaduto, anche il merger of equals, la fusione tra eguali, sarà probabilmente destinato a rivelare un rapporto di forze sbilanciato. Inizialmente sui francesi che non a caso hanno pagato un prezzo più salato e ottenuto che Tavares resti al volante per cinque anni. Poi si vedrà, e molto dipenderà da Exor. Ci può stare. Esperienze passate e recenti insegnano che ci vuole qualcuno più uguale degli altri per portare avanti un progetto ambizioso e visionario come quello annunciato ieri, che in effetti è destinato a cambiare le sorti non solo dei due costruttori ma di tutto il settore.
Dalla distribuzione degli onori, però, dipenderà anche quella degli oneri. Con il rischio di sembrare provinciali, per l’Italia qualche preoccupazione non può non esserci. Ad esempio: dei 3,7 miliardi di sinergie annue annunciate, il 40% deriverà dalla razionalizzazione degli acquisti. Tradotto: un miliardo e mezzo di mancate commesse, ogni anno. A cui si aggiungeranno risparmi su logistica, servizi, sistemi informativi. Chi ne farà le spese? Difficile pensare che parte di questo efficiente giro di vite non vada a impattare su un comparto, già duramente provato dalle varie transizioni nonché dall’operazione Chrysler. Ma tant’è: darwinianamente, a sopravvivere sono i più forti. Anche qui, il tempo rivelerà come stanno realmente le cose, chi ha vinto e chi ha perso, chi ha i numeri e chi no.
La posta in palio
I francesi, per tradizione, sono assai equipaggiati. L’Italia, da sempre orfana di una strategia industriale e con una politica incapace di intervenire su partite come questa, rischia di partire svantaggiata. Ma la posta in palio impone di uscire dai cliché. Nella competizione globale, realmente globale com’è quella di un gruppo chiamato a far leva sull’Europa, crescere negli Stati Uniti e approdare in Asia, nulla è scontato e non ci sono comfort zone. L’Italia, come i tanti pezzi che compongono il nuovo mosaico, rischia tanto ma tanto può anche portare a casa. Per quanto difficile, la partita è appena cominciata. E comunque un dato è certo: meglio rischiare di fare i panchinari in serie A che avere un posto da titolari in serie B.
(nella foto, Carlos Tavares, futuro ad di Fiat-Peugeot)