«È mio dovere essere attento alla tutela del risparmio degli italiani, in questo modo si riafferma concretamente la sovranità italiana». Non ci ha girato intorno, Sergio Mattarella: dietro alla scelta di stoppare la candidatura di Paolo Savona al Tesoro c’è la volontà di zittire ciò che da un paio di settimane ha alimentato la tensione (e le vendite) sui mercati, ovvero il rischio che l’Italia possa uscire dall’euro. Per via diretta o indiretta, cioè mettendo a rischio la sostenibilità del debito pubblico attraverso manovre dalle coperture assai incerte.
Non ha nascosto, il presidente della Repubblica, che la scelta è stata ispirata dalle posizioni prese dagli investitori internazionali sugli asset italiani, le azioni ma – soprattutto – i titoli di Stato. Ma anche spiegato il perché: più si deprezzano i BTp, più scende la Borsa, più salgono i tassi, più gli italiani – che hanno in tasca quasi il 70% dei titoli di Stato in circolazione – si impoveriscono. E, in un mondo – che piaccia o no – in cui il potere d’acquisto fa la differenza, perdono la loro sovranità.
«Il destino dell’Italia lo decidono i poteri forti dei mercati», aveva tuonato, pochi minuti prima, Luigi Di Maio. Nella forma, la lettura del Colle non suona neanche tanto distante: Mattarella ha parlato di “investitori”, è vero, ma ha riconosciuto che la loro voce è stata ascoltata. Nella sostanza, però, la conclusione è opposta: chi vuole tutelare gli italiani, la loro sovranità, non può permettersi di ignorarla. Basta vedere gli effetti, concreti, prodotti dall’impennata dello spread di queste ultime due settimane, e dai miliardi bruciati in Borsa.
Le regole del gioco, di un’Europa a trazione franco-tedesca troppo spesso succube di una tecnocrazia rigorista e iper-finanziarizzata, non stanno bene a nessuno. E probabilmente in primis a Sergio Mattarella, che ha ribadito la necessità di una spinta forte a innovare la casa comune europea. Ma finché le regole sono queste, è inutile e ancor prima dannoso metterle sguaiatamente in discussione, o rivendicare il diritto di giocare come si vuole. Che si tratti o meno di poteri forti, in un mondo che ormai è diventato un unico gigantesco mercato che valuta i rischi e subito li prezza, c’è troppo da perderci. In termini di credibilità, denaro, sovranità.