Mps, Banca Marche, Carife, Banca Etruria, CariChieti, le casse dell’Italia centrale, Popolare di Vicenza, Veneto Banca. E ora anche le banche pugliesi, con una in particolare: la Popolare di Bari.
Con notevole nonchalance, ieri Matteo Renzi alla direzione del Partito democratico ha aggiunto una casella nell’elenco delle banche “osservate speciali”. Il segretario si stava togliendo un po’ di sassolini, e – parlando della nascente commissione parlamentare di inchiesta sul credito – ha detto che “sarà interessante discutere di Banca popolare di Vicenza, delle banche pugliesi, della Banca Popolare di Bari e di Banca 121”.
Andiamo per ordine.
Banca 121, ex Banca del Salento, nel 2002 è finita a Mps, contribuendo a causarne parte dei mali che successivamente l’hanno sepolto. Da sempre è stata considerata vicina a Massimo D’Alema, che però ha smentito eventuali collegamenti.
Non appartiene al passato, invece, la Popolare di Bari. Viva (e vegeta?), la banca era una di quelle in teoria coinvolte nella riforma di gennario 2015, che imponeva alle popolari con più di 8 miliardi di attivi di trasformarsi in Spa. A Bari (come a Sondrio, peraltro) hanno aspettato fino all’ultimo, e dal loro punto di vista hanno fatto bene: a metà dicembre, pochi giorni prima dell’assemblea, la riforma è finita nel congelatore per l’intervento del Consiglio di Stato: tra i più affezionati alla natura cooperativa della banca c’è il deputato Pd Francesco Boccia, ieri nel mirino di Renzi, che si è fatto in quattro a più riprese per evitare o allontanare la trasformazione in società per azioni. Con tutte le conseguenze del caso, a partire dalla necessità di difendere nel tempo il valore di 7,5 euro, vale a dire il prezzo delle azioni – piuttosto illiquide, cioè difficili da vendere – attualmente nelle mani dei soci.
Ora, eventuali nodi verranno al pettine: difficilmente il caso-banche potrà rimanere materia per una semplice scazzottata dentro al Pd.