Oggi ai Magazzini del Cotone di Genova i soci di Carige sono chiamati ad approvare il nuovo aumento di capitale da 560 milioni, necessario per riportare in acque tranquille la loro banca. Arriverà il via libera? Probabile, come sempre o quasi accade in assemblea. A contare sono le azioni, e il socio di maggioranza con il 17,6% Malacalza (supportato da Volpi con un altro 6%) sicuramente sosterrà l’iniziativa del cda, a cui tuttavia ha proposto un piccolo ritocco (la famiglia vuole l’aumento con diritto d’opzione per tutelare sé stessa e gli altri soci da eventuali incursioni sgradite) rispetto alla delibera messa ai voti.
L’assemblea, però, è solo la prima (e neanche la più incerta) delle condizioni che gravano sul piano di salvataggio della banca, a cui la Banca centrale europea ha prescritto un irrobustimento da un miliardo. Che va effettuato da cima a fondo, come ha confermato ieri.
Vediamo le condizioni una per una, ovvero cosa servirà alla banca per superare questa ennesima fase delicata.
1. Il voto favorevole dell’assemblea. Come detto, non si può neanche partire senza il voto favorevole dei soci all’aumento di capitale da 560 milioni, che per inciso è quasi tre volte l’attuale capitalizzazione di Borsa della banca, che a Piazza affari vale circa 195 milioni.
2. La riuscita della conversione dei bond. In gergo tecnico, si chiama Lme – Liability management exercise. Tradotto in italiano: esercizio di gestione di attività. Tradotto in pratica: la banca proporrà ai titolari di quattro bond subordinati (i più rischiosi) riservati agli investitori istituzionali (che quindi non dovrebbero essere finiti nelle tasche dei risparmiatori) uno scambio con bond senior (di maggior pregio) di valore nominale inferiore.
In sostanza: quando la banca o una qualunque società emette un’obbligazione vale 100, poi però viene scambiata sul mercato secondario e – a seconda dei prezzi offerti in vendita e acquisto – il prezzo può salire o scendere, e con esso il rendimento relativo (quanto più il prezzo scende tanto più il rendimento sale); a incidere sul valore è lo stato di salute dell’azienda in questione e dello scenario di mercato in cui si muove: Carige è una banca affaticata in un mercato piuttosto scettico sulle banche in generale (anche se fino a pochi mesi fa lo era molto di più) e così il prezzo di queste obbligazioni è sceso di molto, al punto che si possono comprare a 30 (quelle più rischiose) o 60-70 (quelle meno). Da domani, a condizioni che verranno chiarite questa sera dal cda, Carige si offrirà di ricomprare quei titoli a un valore più vicino a quello di mercato rispetto al nominale, proponendo in cambio obbligazioni migliori e quindi verosimilmente destinate a deprezzarsi di meno in futuro: se la banca offrirà, per esempio, un’obbligazione senior da 40 euro in cambio di una obbligazione che nominalmente valeva 100 euro, risparmierà 60 euro, capitale nei fatti risparmiato che equivale quindi a quello raccolto sul mercato.
La banca ha bisogno di raccogliere dall’operazione circa 250 milioni, su un valore nominale complessivo di 510 milioni di bond: mediamente offrirà la metà, ma stasera conosceremo i termini esatti della proposta; servirà un’adesione integrale, pertanto Carige utilizzerà una particolare clausola che consente di rendere obbligatorio lo scambio qualora si esprima favorevolmente una quota minima di sottoscrittori durante le assemblee che verranno convocate per l’occasione. Per capirne di più si può leggere il documento della banca pubblicato su richiesta Consob . Un dato è certo: servirà l’appoggio di tre soggetti in particolare, cioè Generali, Unipol e Intesa Vita: le tre compagnie di assicurazione hanno fette importanti dei titoli in questioni, una loro adesione all’offerta senz’altro può rendere più facile raggiungere i quorum necessari e far scattare la conversione obbligatoria.
3. La riuscita dell’aumento di capitale. Paradossalmente, rischia di essere il passaggio più semplice. Per questo motivo: se la conversione dei bond darà il risultato sperato, raccogliendo i 250 milioni che servono, le banche d’affari – su tutte Deutsche Bank e Credit Suisse – che hanno fin qui accompagnato la banca garantiranno l’aumento di capitale, ovvero si renderanno disponibili a rilevare le azioni eventualmente non collocate. Certo ci saranno altre condizioni (clima sul mercato, reazioni degli investitori all’offerta, cessione degli npl,…) ma se intorno alla baca soffierà un vento positivo l’aumento si farà. Chi comprerà? Sicuramente Malacalza e gli altri soci vicini, del tutto intenzionati a difendere le loro quote, e poi alcuni dei soliti investitori istituzionali per lo più esteri che scorrazzano abitualmente sui mercati. A Genova in passato hanno perso tutti, ma le banche d’affari troveranno qualche buona ragione per riportarli in partita.
4. Le cessioni di asset. Ovvero la società di credito al consumo Creditis, alcuni immobili di pregio, la piattaforma – cioè uomini e mezzi – di gestione degli Npl. Due settimane fa, presentando il piano, il ceo Paolo Fiorentino al riguardo si è mostrato piuttosto ottimista: ha fatto capire che l’interesse del mercato è molto e potrebbe arrivare anche qualcosa in più dei 200 milioni attesi. Il problema è il tempo: Carige deve fare in fretta, il mercato lo sa e quando il venditore ha i minuti i contati è facile spuntare un prezzo più basso.
5. L’appoggio della Bce. Da mesi, anzi da anni Francoforte controlla da vicino Carige. Forse anche troppo, come più volte hanno fatto notare i Malacalza. La lettera inviata ieri in cui si conferma l’ok al piano suona comunque minacciosa: le azioni sono quelle giuste, dicono da Francoforte, ma vanno eseguite tutte, nell’ordine concordato e soprattutto nel migliore dei modi. Quindi: non sottovalutare il regolatore.
Se tutto andrà in porto, anche questa sarà andata. E poi? Sul mercato in molti pensano che sul medio-lungo periodo sarà comunque oggetto (o soggetto) di un’aggregazione. Si vedrà. Un passo alla volta.