Stessa spiaggia, stesso mare: tre mesi dopo l’assemblea che il 12 gennaio scorso, approvava l’aumento di capitale da 13 miliardi, oggi nuova convocazione per i soci. Stessa sede, l’ex Capitalia dell’Eur, stessa facce (anzi qualcuna in meno), stesso clima da aula bunker. Fuori c’è il sole (a gennaio pioveva), ma tra i neon soft e le poltroncine rosse dentro sembra tutto uguale.
Rispetto a tre mesi fa, però, la banca è tutta diversa: i 13 miliardi di capitale (nuove azioni, nuovi soldi, nuovi soci) hanno profondamente cambiato la proprietà della banca italiana più internazionale: il 65%, forse qualcosa in più, è nelle mani dei fondi esteri, il vecchio nucleo stabile delle Fondazioni (Verona, Torino, le emiliane, Trieste) e dei soci privati (Del Vecchio, Caltagirone, De Agostini) è molto sotto il 10%, i piccoli soci ormai sono ai margini.
Ma sono loro a prendere la parola. Pierluigi Carollo, da Rovereto, annuncia voto favore e richiama il valore delle scuole professionali del Nord-Est per cui chiede “un occhio di attenzione”. Lanfranco Pedersoli, accento romano, “tralascia la situazione generale” e punta il dito su Alitalia e sulla banca che non deve essere un bancomat, Gianluca Fiorentini si complimenta con l’ingegner Mustier per i suoi progressi nell’italiano e chiede lumi sui volumi degli Npl, Lucio La Verde stigmatizza la strategia “minimalista” e “attendista” del gruppo.
Il copione è quello classico di ogni assemblea, ma in UniCredit – che di tutte le Spa italiane è la più grande e la più connotata come public company – la distanza tra il film dell’assemblea e la realtà dei fatti stride anche un po’ di più.
Quando ci sarà da votare verranno polverizzati dai grandi istituzionali – grazie al pulsante premuto da un paio di rappresentanti con milioni di deleghe – ma formalmente i piccoli soci contano come i grandi, la legge ne impone e assicura la presenza, la democrazia e il rispetto (per chi ha investito, e perso, un sacco di soldi) ne richiedono l’ascolto.
Ma il rito, oltreché stanco, così rischia di essere inutile. Urgono, forse, ripensamenti. Per difenderne il valore e gli effetti prima che sia troppo tardi.