Sarà la primavera, saranno gli effetti ritardati dei guai che abbiamo avuto (e in parte abbiamo ancora) al Sole, sarà il neurone bianconero in agitazione per la Champions, ma mi sono perso un po’ in questi ultimi giorni. E pensare che di cose ne sono accadute assai.
Partendo dal fondo, accordo fatto per Alitalia: è contenuto in un verbale di confronto firmato giovedì notte al Ministero dello Sviluppo economico, una manciata di pagine fotocopiate con una serie di misure per il contenimento dei costi del lavoro (ammorbidite rispetto alla versione iniziale desiderata dall’azione) e la ultra generica proposta “di un gruppo di azionisti e finanziatori di ripatrimonializzare la compagnia per 2 miliardi”. Mi fa un certo effetto pensare che il futuro di Alitalia dipenda dall’attuazione di questo documento, che comunque andrà approvato – fatto tutt’altro che scontato – dai dipendenti e che si regge sull’impegno dello Stato a garantire 200 milioni di possibili futuri fabbisogni di capitale nientepopodimenoche attraverso Invitalia (escamotage dell’ultima ora dopo il gran rifiuto di Cdp). Mi fa un certo effetto, ma tant’è: allacciate le cinture.
Dopo l’Inter, da giovedì anche il Milan è cinese: Berlusconi piange, ma la finanziaria di famiglia, Fininvest, ride. La vendita del Milan porta 540 milioni di cassa e 200 milioni di debito in meno, oltre al fatto che in futuro non dovrà più sopportare i costi del passato, pressapoco 100 milioni medi per ogni anno di proprietà.
Il clima resta incerto su Mps, Popolare Vicenza e Veneto Banca, le tre banche che devono convincere Bce e Commissione europea di meritarsi l’aiuto dello Stato, circa 6 miliardi per Siena e altrettanti per le due venete. La situazione non è chiara perché la procedura di concessione degli aiuti di Stato in tempi di bail in non è mai stata esperita in Europa. dunque non resta che fare i meteorologi: clima incerto, si diceva, ma tendente al bello su Siena e fors’anche sul Nord-Est. In pratica, dovremmo uscirne. Anche se intanto le tre banche sono piuttosto inguaiate: certo non viene voglia di precipitarsi allo sportello di un istituto tutt’ora a rischio di sopravvivenza, per quanto minimo. Ecco perché bisognerebbe fare più in fretta, ma non si riuscirà.
Mi è saltato all’occhio quanto è successo giovedì all’assemblea dell’Eni. Tutto come da copione, compreso il rinnovo del cda e con annesso vertice composto dalla presidente Marcegaglia e dal ceo Descalzi. Unico fuoriprogramma, i fondi si sono spaccati quando c’è stato da votare il piano di incentivi mediante concessione di azioni, comunque approvato. “Un errore di comunicazione”, lo ha definito Marcegaglia. Ma un ennesimo segnale del fatto che i fondi istituzionali – che se volessero comanderebbero in quasi tutte le società quotate italiane – vanno guardati con sempre maggiore attenzione. Ne sanno qualcosa le banche ex popolari, con BancoBpm, Bper e CreVal che giusto sabato scorso hanno convocato le prime assemblee da Spa: senza più il voto di capitare e senza ancora un nucleo di soci stabili, il mercato può riservare sorprese.