- UniCredit ha sfiorato il tutto esaurito nell’aumento di capitale da 13 miliardi avviato il 6 febbraio. Nonostante avessimo ormai fatto l’abitudine alla cifra, si tratta di una mezza finanziaria, nonché dell’aumento più grande mai tentato in Italia (il vecchio primato spettava già a UniCredit, con 7,5 miliardi). Considerato il clima intorno alle banche (che mediamente interessano ben poco al mercato) e i precedenti, si può dire che a un francese, Jean Pierre Mustier, è riuscito un colpaccio: piazzare 13 miliardi di merce italiana dopo maxi-pulizie (crediti deteriorati) e maxi-tagli dei costi (chiusura filiali, uscite anticipate e pure la sponsorizzazione della Champions League).
Il successo di UniCredit è una buona notizia per l’Italia ma nei fatti alza l’asticella per le altre banche. Non tutte hanno bisogno di tanto capitale come UniCredit, ma è un precedente ingombrante. Sarà un caso, ma a 24 ore dalla semi-chiusura dell’aumento la prima della classe, Intesa Sanpaolo, ha annunciato che con Generali non si farà niente: troppo costosa un’offerta, troppo poche le sinergie, Carlo Messina preferisce tenersi il capitale in casa e crescere per linee interne. Ma ora dovrà tradurre il tutto in un nuovo piano industriale (l’attuale scade nel 2017), e non sarà facile.
UniCredit e Intesa, divise (forse) sulla partita Generali, sono insieme (forse) nella partita Alitalia. Ma si vola bassissimi. Creditrici e azioniste, rischiano due volte in questa ennesima crisi della compagnia, che ha benzina nel serbatoio dei suoi aerei solo fino a fine marzo: mercoledì forse arriva il nuovo piano industriale firmato da un consulente, ma – sempre che arrivi – attuarlo non sarà facile, serviranno altri soldi e un nuovo amministratore delegato. Disposto praticamente a immolarsi: ci sarà da portare avanti un piano lacrime e sangue pensato da altri.
Nonostante questi guai, UniCredit e Intesa se la passano molto meglio di Mps. Che in attesa dei 6,6 miliardi dello Stato si è trovata al centro di un potenziale conflitto nucleare: il suo piano industriale dovrà piacere sia alla Commissione europea (che vuole poco capitale visto che è pubblico) sia alla Bce (che vuole tanto capitale per principio). Questa volta la banca non ha colpe, se non quella di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Il problema è anzitutto politico, l’Italia conta troppo poco (soprattutto di questi tempi) per aiutare a risolverlo e si preannuncia una lunga fase di stallo.
Niente stallo, invece, tra Germania e Francia: dopo un po’ di scaramucce, la fusione di Peugeot con Opel si farà. Alla fine, sono bastati 10 giorni per mettersi d’accordo ai due Stati. Chapeau.