2021 ti aspettiamo a braccia aperte, dice Babbo Natale sulla scatola dei cioccolatini.
Come dargli torto, dopo questo 2020 che ci ha lasciato senza parole, noi abituati a vivere in anni andati al massimo un po’ meglio o un po’ peggio di quello precedente.
Pure questo 2021 inizia con la sua dose di ombre vecchie e nuove, che difficilmente potranno dissolversi in una girata di calendario. Stiamo peggio di salute e di umore, l’Europa che si ruba di mano i vaccini a loro volta così divisivi ci fa pensare che il peggio non è ancora passato, l’aria di crisi di governo ci conferma che non c’è urgenza capace di prevalere su distinguo autolesionistici.
Però.
Sì, c’è un però.
La verità che è questo 2020 pandemico è stato un drammatico anno di verità, in cui sono venuti al pettine tutti quei nodi che da anni si erano ingarbugliati così profondamente da non poter essere più nè colti nè sciolti. Come ha accennato anche il presidente Mattarella, ci ha pensato il virus a mostrare il volto ingiusto e insostenibile di una globalizzazione fuori controllo, in cui si incrociano grandi questioni economiche, sociali e politiche.
La pandemia ha svelato fragilità e accelerato processi che cubavano da anni. Per questo è una patologia grave, strutturale: non c’è alcun vaccino che, da solo, possa arginarla. Ma per lo stesso motivo offre l’occasione per pensare finalmente a una cura che non ci faccia tornare come prima, ma diversi. Magari migliori.
L’Europa e l’Italia, vecchiotte e spompe, ci sono dentro fino al collo. Tanto più a rischio quanto più bisognose di nuove ricette e nuove ambizioni.
Come tradizione qui in Kordusio a fine anno, qualche suggerimento per leggere e approfondire.
I sintomi
Qualche giorno fa, riponendo negli scatoloni le mie cose in vista del trasloco nella nuova sede del Sole, mi è caduto tra le mani un libro che mi ha fatto venire la pelle d’oca. Me lo aveva fatto avere Fabrizio Saccomanni, di cui non si può non sentire la mancanza in questo anno difficile per tutti e in particolare per UniCredit, la banca che ha presieduto finché non è scomparso l’8 agosto 2019. Si intitola Crepe nel sistema – La frantumazione dell’economia globale: è di soli due anni fa, ma c’è tutto. Straordinariamente profetico nel suo individuare, tra i tanti, i veri punti deboli del sistema economico globale. C’è il nocciolo della questione, c’è il punto di ripartenza.
La patologia
Anche a noi campioni nel minimizzare, la pandemia ci impone di guardare in faccia alla realtà. Comprese Le cose che non ci diciamo fino in fondo, ultimo libro di Ferruccio de Bortoli. Anche qui, multa paucis: il capitale umano bistrattato, la meritocrazia dimenticata, lo statalismo di ritorno che vogliamo ma non siamo capaci di gestire, le diseguaglianze fiscali. Rubo un passaggio chiave, sul finale: “Il rischio zero, come si è visto per la pandemia, non esiste. Se negli anni della Ricostruzione gli italiani si fossero preoccupati di non rischiare nulla, saremmo ancora un’economia agricola, e forse nemmeno quella”. Ne parlavamo poche ore fa, correndo con un amico: chissà che non sia la volta buona per vincere quell’inesorabile ritrosia al rischio che ci segna da generazioni.
La cura
E qui ci avviciniamo a queste prime, timide, luci in fondo al tunnel.
Se è vero che tutto partiva da lontano, c’è chi si è mosso in tempi non sospetti: in Incivilire la finanza, Sergio Gatti e Stefano Zamagni riassumono, commentano e rielaborano l’economy of Francesco in “una prospettiva di cambiamento che va interiorizzata da tutti: cittadini, decisori politici, autorità di vigilanza, mercati”. Il Papa da tempo piace e conquista più fuori che dentro la Chiesa, nel suo essere portatore di scomode verità. Una conferma e una coincidenza, forse non casuale: il 21 novembre, mentre da Assisi si lanciava il primo evento virtuale dell’Economy of Francesco, si scopriva che il concomitante G20 organizzato dall’Arabia Saudita ragionava su un’agenda quasi fotocopia. Primo punto all’ordine del giorno: rivedere l’architettura del debito globale. Eccola, una luce.