Cancellarlo è forse impossibile, congelarlo o prolungarlo è quasi scontato. Senz’altro, l’immenso debito globale andrà rinegoziato. Era evidente prima della pandemia, ora il nuovo record di 270mila miliardi di dollari toccato a livello globale a fine settembre (come ha scritto Vito Lops sul Sole di oggi e come si vede nella figura qui sotto) lo rende necessario. Perché la corsa agli stimoli fiscali anti-Covid non solo ha gonfiato l’ammontare del debito pubblico più quello privato fino a quattro volte il Pil globale, ma ha anche finito per mescolare in buona parte creditori e debitori, da cui si leva ormai una voce sola: servono strade nuove per regolare i rapporti dare/avere.
La provocazione di Sassoli, il no di Lagarde
Questa voce è risuonata in tutte le lingue al G20 in corso in Arabia Saudita, dove – ovviamente – l’attenzione si è concentrata anzitutto sui Paesi emergenti, ultima ruota finanziaria di un carro che già oggi perde i primi pezzi (venerdì scorso lo Zambia è tecnicamente finito in default) e rischia di disintegrarsi ai primi segnali di un ritorno alla normalità post-pandemica, quando i tassi torneranno su valori pseudonormali. Ma è chiaro che il problema è di tutti, proprio tutti. Lo confermano le parole di ieri di Papa Francesco da Assisi, ma anche il dibattito uscito ormai allo scoperto in Europa dopo che il presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, non ha esitato a invocare una cancellazione del debito contratto dagli Stati per fronteggiare la pandemia. «Non si può, non è previsto dai Trattati», ha prontamente ribattuto Christine Lagarde, presidente della Bce e dunque titolare di buona parte di quella carta emessa dagli Stati per finanziare ospedali e cassa integrazione. Ma il tema della rinegoziazione del debito è ormai sul tavolo, e dal “se” si sta progressivamente passando al “come”.
La palla nel campo dell’Italia
In questa discussione l’Italia per una volta rischia di avere un ruolo. E non solo perché in fatto di debito è tra i campioni mondiali e tra i principali esperti le idee non mancano, come dimostrano – oltre alla provocazione di Sassoli – le soluzioni presentate già in tempi non sospetti da figure come Paolo Savona con i titoli di Stato irredimibili o Carlo Cottarelli, secondo il quale la chiave è nella gestione degli eccessi di liquidità. Non sono dettagli, perché se è vero che la cancellazione del debito pare oggi una scorciatoia non percorribile, ipotesi e alternative teorizzate e discusse potrebbero rivelarsi preziose dal primo dicembre, quando proprio l’Italia si troverà al vertice del G20.
Le parole di Conte dopo l’allarme di Georgieva
Ieri il premier Conte ha annunciato che il nostro Paese «promuoverà uno sforzo coordinato sul Covid», ma poi ha anche aggiunto che «restano da colmare sostanziali gap finanziari, che richiederanno strumenti e percorsi di finanziamento innovativi e un coinvolgimento attivo del settore privato». Per definire l’agenda italiana, c’è ancora un po’ di tempo, anche perché è evidente che sarà il virus a dettarla, tra vaccini, nuove ondate e sforzi necessari per uscirne il più in fretta possibile. Il debito è un tema trasversale, che difficilmente potrà essere spazzato via. Basta pensare alle parole della numero uno del Fondo monetario internazionale, Kristalina Georgieva: a inizio ottobre, inaugurando la prima edizione virtuale dei meeting annuali dell’Fmi, perorava la necessità di una nuova architettura per il debito globale, ricordando che alcuni precedenti esistono già e sono interessanti. Da allora sono passati appena 40 giorni, ma – ora che il mondo si ritrova nel pieno della seconda ondata pandemica ma spera anche di poter aver presto un vaccino da acquistare su scala globale – certo appaiono ancor meno campate in aria, anzi.