Il virus è ancora tra noi, ma i contagi un giorno salgono e uno scendono. Il Pil è crollato, ma l’Italia per una volta è nella media e non peggio degli altri. I conti delle quotate sono pessimi, ma non per tutti. Siamo alle solite: la situazione è grave ma non seria, alla Ennio Flaiano.
La verità, temo, è che in questa estate pandemica c’è ancora molta nebbia, e i timori o le cautele o i negazionismi si mischiano a fasi alterne con una realtà che nessuno è in grado di cogliere, da chi la racconta a chi la governa a chi la vive. E pensare che in questa nebbia di cose ne accadono tante, tantissime. Pure nel piccolo cortile della finanza italiana, dove anzi la vista appannata dei più sembra aver accelerato – o forse favorito – svolte che da tempo faticavano a prendere forma.
Di Intesa-Ubi abbiamo già parlato abbondantemente, tanto che ora lo sguardo va puntato sulle altre banche che non potranno non reagire alla polarizzazione del settore: in primis UniCredit, che mentre il ceo Mustier predica la crescita stand alone sembra valutare nei dettagli possibili approdi per le sue attività italiane, come fatto notare da Alessandro Graziani sul suo blog fresco di stampa. Poco a lato c’è Cattolica: a Verona fino a pochi mesi fa nominare la spa era una specie di bestemmia, e quando parlavi del leone pensavano al circo; ora che l’acqua è alla gola, l’assemblea ha votato la trasformazione e Generali è pronta a entrare (a meno che una procura non arrivi prima). Con Popolare Bari, che un mese fa ha compiuto lo stesso passo, è l’addio alle ultime due grandi cooperative di mercato, che in poche settimane si sono viste costrette a fare ciò che per decenni avevano respinto con tutta la loro forza.
Venerdì anche Lse, il gruppo della Borsa di Londra, ha finalmente ammesso che la controllata Borsa Italiana è in vendita, aprendo ufficialmente le danze dopo mesi di balletti, rumors e presunte cordate. In settimana è caduto un tabù anche su Fiat-Peugeot: le nozze s’hanno da fare, si vogliono fare e si faranno, ma Carlos Tavares ha detto che a fine anno si valuterà se i termini discussi un anno fa restano gli stessi: non è un dettaglio, ne va del valore dei due gruppi e della dote che prima e dopo il fatidico sì si porteranno a casa i soci. E sempre da quelle parti, la foto di Andrea Pirlo sbandierata dalla Juventus lascia poco spazio all’immaginazione.
Dunque di cose ne capitano. Rispetto al solito è più difficile distinguere quelle vere da quelle finte, il fumo dall’arrosto. Per dire: questa nuova gogna del Congresso americano ai colossi del tech un po’ mi sembra una specie di rito che periodicamente va celebrato (vedi l’imbarazzo di Zuckerberg due anni fa concluso in un super maxi nulla di fatto).
A proposito di essere e apparire, andranno lette con attenzione anche le trimestrali di questa settimana. Anzitutto quelle bancarie, che partono domani proprio con Ubi: sulle banche la botta del virus arriverà tra un anno o due quando i crediti ora congelati per moratoria diventeranno avariati, quindi calma e sangue freddo perché il peggio deve ancora arrivare. Domani però c’è anche Ferrari, che in Borsa più che inFormula Uno resta forse il miglior capolavoro di Sergio Marchionne e alla fine è uno dei benchmark più generosi e positivi per l’Italia, con quel suo mix di fascino e innovazione: ecco, credo che quei conti meritino un po’ di attenzione in più, tra le righe ci può essere qualche indizio di come stiamo e dove possiamo andare.