Salvini la vuole pubblica, Di Maio pure ma con aggiunta di punizioni per i banchieri. Per Tria una soluzione di mercato sarebbe preferibile, per Conte non c’è ragione per un intervento diretto dello Stato. In mezzo, al solito, Giorgetti: per il sottosegretario la nazionalizzazione è una ipotesi concreta. Su Carige il governo continua ad avere le idee confuse.
Mentre i tre commissari cercano di riportare all’onor del mondo la banca, o meglio di prepararla per le nozze, per la politica continua a essere oggetto di dibattito. Politico e finanziario. Meno male che, almeno, i titoli sono sospesi in Borsa: valgono zero virgola zero zero zero ma la valanga di dichiarazioni, cinguettii e post averebbe senz’altro regalato ogni giorno un giro di giostra.
Veloce rewind:
- Ieri il premier Conte a Davos ha dichiarato che non c’è ragione per un intervento diretto dello Stato e di “preferire una soluzione privata come una fusione con un partner italiano o un aumento di capitale”, allineandosi nella sostanza alla posizione assunta in contemporanea dal vice dg di Banca d’Italia Fabio Panetta che era in audizione in Parlamento
- Appena una settimana fa, subito dopo la pubblicazione del decreto Carige, i vice premier Salvini e Di Maio avevano invece evocato senza troppi complimenti la nazionalizzazione. Con il sottosegretario Giorgetti che aveva parlato della stessa come di una ipotesi concreta.
- I due vice premier d’altronde si erano già esposti, pure con maggior vigore: il 10 gennaio, ai microfoni di Radio24, Salvini aveva pure azzardato la possibilità di un guadagno per lo stato azionista, mentre il giorno prima , con un post su Facebook, Di Maio oltre a immaginare per Carige un futuro da banca di Stato aveva anche promesso punizioni per i banchieri colpevoli dello sfascio.
- Molto più cauto – manco a dirlo – Tria, che il 15 gennaio in Parlamento aveva dichiarato che «Una soluzione di mercato sarebbe comunque preferibile», ha detto, e «al momento non è possibile sapere se si materializzerà l’esigenza di un intervento» statale sul capitale
Sul tema dunque la confusione dentro all’esecutivo regna sovrana. L’impressione, ahimè, è che a decidere saranno gli eventi e l’eventuale precipitare dei medesimi. E nel caso in cui i commissari, come si spera, dovessero essere in grado di confezionare una soluzione il nodo verrà al pettine.
E, verosimilmente, sarà difficile da sbrogliare.
Perché lo Stato, comunque, qualcosa dovrà metterlo sul piatto. Il motivo è semplice: mentre ufficialmente tutti i banchieri si affrettano a smentire interesse per la banca, nei colloqui informali più di un istituto si sarebbe dichiarato pronto per lo meno a valutare l’integrazione. A patto che, però, possa ricevere qualcosa in cambio: un aiuto a gestire gli esuberi di personale, ad esempio. O una qualche forma di garanzia sulla qualità del credito. Benefici di cui ha goduto Intesa in cambio del salvataggio delle ex popolari venete.
Quando la trattativa entrerà nel vivo, bisognerà essere pronti. Il disallineamento dei ministri non è un buon auspicio. Anche perché, come ha ribadito sempre ieri Panetta, l’epilogo – volenti o nolenti – dovrà arrivare in fretta: tra qualche mese, non di più.
Dunque forse prima delle elezioni.
Oops.