Dalla tragedia del ponte Morandi Genova è diventata il simbolo di questo momento così strano dell’Italia, con le sue fragilità, la sua rabbia, le sue lentezze, le energie e le tante occasioni, colte e sprecate.
Oggi accade di nuovo. Con una curiosa, e metaforica coincidenza. Mentre alla Fiera si inaugura il Salone Nautico al teatro della Corte i soci di Carige sono chiamati a decidere il destino della banca. Di nuovo: da una parte le forme e le ambizioni di uno dei settori in cui la manifattura italiana esprime una leadership globale, dall’altra l’eterno tentativo di rimettere in piedi una banca che da almeno quattro anni balla sull’orlo del precipizio.
Non sarà una scelta facile, e non a caso si annuncia una corsa all’ultimo voto tra la lista ispirata dalla famiglia Malacalza e quella presentata dal multiforme patto guidato da Raffaele Mincione. I primi ci hanno messo negli anni 400 milioni, quasi tutti persi: ora rilanciano con una lista di assoluto rilievo (i banchieri Pietro Modiano e Fabio Innocenzi, Lucrezia Reichlin, Salvatore Bragantini) in cui non compare nè il capofamiglia Vittorio nè i figli Mattia e Davide, per dare un segnale di “distacco” da una banca sentita così tanto “cosa propria” da infastidire a più riprese la Bce. Sul piatto i Malacalza mettono la disponibilità ad accompagnare ancora la banca (con il portafoglio), con l’obiettivo però di rimetterla in piedi onde trattare l’inevitabile fusione in condizioni di maggior vantaggio per sè e gli altri soci.
Chi vuol fare in fretta, molto più in fretta è il patto Mincione-Volpi-Spinelli, assai assortito ma altrettanto determinato: a Carige le nozze servono subito, ha detto senza mezzi termini Mincione in un’intervista al Sole uscita stamattina. Poche ore dopo che la banca, nella notte, ha comunicato di aver ricevuto l’ennesima lettera dalla Bce in cui ricorda che serve un nuovo rafforzamento di capitale entro fine anno, ma che in caso di aggregazione sarebbe disponibile a concedere un po’ di tempo in più. Messaggio chiaro.
In mezzo ci stanno i fondi, che – con Assogestioni – hanno presentato una lista non banale che potrebbe riverlarsi decisiva perché il board verrà eletto con un sistema proporzionale in cui né Malacalza né Mincione rischiano di avere la maggioranza.
Difficile scegliere, difficile pensare al dopo. Piaccia o no, servirà altro capitale, sottoforma di aumento o (onerosi) bond subordinati. E ci sarà da trovare una sintesi nel solo interesse della banca: come Genova, tagliata in due dal ponte Morandi, anche la sua cassa di risparmio non ha un minuto da perdere. E questa volta il rischio di un crollo, pesantissimo per quanto finanziario, è ben noto. Da tempo.