«Il sistema bancario e l’economia reale sono imprescindibili l’uno dall’altro», ha detto ieri il ceo di JpMorgan. Jamie Dimon, a Il Sole 24Ore: «Se si vuole costruire un sistema economico sano e ben funzionante, serve un sistema bancario sano e ben funzionante». Ne sanno qualcosa i banchieri italiani, che ieri all’assemblea Abi con il presidente dell’associazione, Antonio Patuelli, hanno rivendicato il fatto di aver prima pagato il conto salato della crisi e poi di non aver fatto mancare il sostegno alla ripresa attraverso un credito che oggi, visti i tassi bassi e i rischi alti, si presenta assai meno conveniente di pochi anni fa.
A ognuno fa il suo mestiere, certo. Ma la nuova fase di volatilità dei mercati e l’eterno cantiere delle regole hanno aperto una nuova fase di pesante incertezza. In Europa, dove si discute di nuova mitigazione dei rischi in vista della (presunta) condivisione di (eventuali) rischi sistemici. E in Italia, dove il neonato Governo si appresta a maneggiare alcuni dossier determinanti per gli equilibri del settore, a partire dalla riforma delle Bcc.
Due versanti su cui, al momento, l’Italia sembra giocare con strategie diverse. In Europa si cerca di tenere il punto, ha ribadito ieri il ministro Tria; in pratica si punta a difendere gli interessi italiani nei diversi tavoli aperti, a partire da quello sul pacchetto bancario appena approvato dal Parlamento europeo e sulle soglie massime di Npl che Francia e Germania vorrebbero imporre per proseguire sulla via dell’integrazione bancaria. Incassare una sconfitta su questi campi minerebbe la stabilità del sistema italiano del credito, e una ripresa di per sé già incerta.
Ma qualche pericoloso contraccolpo alla stabilità potrebbe arrivare da una messa in discussione della riforma del credito cooperativo, reduce da anni di faticosa costruzione del consenso in un mondo ricco di sensibilità diverse ma anche di tante debolezze latenti: fermare la macchina, o cambiarne direzione, rischia di (ri)metterle a nudo. E in assenza di paracaduti come la risoluzione, ha ricordato ieri Visco, per una piccola banca in difficoltà l’unico epilogo possibile è quello della liquidazione. Altre ambiguità aleggiano su Mps, dove l’ipotesi del consolidamento del controllo pubblico, ieri rilanciata da Claudio Borghi, cozza con gli accordi presi con Bruxelles: non è un caso che la società, quotata, a Piazza affari viaggi sui minimi dalla riammissione sul listino. E il dialogo, che ancora non è stato aperto, tra azionista di controllo e board senz’altro non aiuta chi sta dentro e fuori dalla banca. Per non parlare del progetto di Glass-Steagall Act all’italiana, con cui si vuole separare l’attività bancaria commerciale da quella d’investimento. O del decreto per il ristoro degli azionisti truffati delle ex popolari venete: elaborato dal governo precedente a fine legislatura, è stato recentemente avvistato su qualche scrivania di Palazzo Chigi, dove c’è chi starebbe valutando di allargare le maglie dei rimborsi. Sul merito se ne può anche discutere. Certo si tratta di altre incognite, ombre sulla stabilità del settore. E, soprattutto, sul sostegno alla crescita che può e deve dare.