Domani pomeriggio, mentre al Quirinale si cercherà di costruire una maggioranza di governo (o qualcosa di simile), alle 17 in punto si insedierà il nuovo cda di Telecom Italia. Si parva licet, le analogie non mancano. Da una parte c’è la politica e dall’altra la finanza, ma Tim non è una società come le altre, e poi l’ingresso di Cdp ha formalizzato che la questione è di interesse nazionale.
Certo, in Tim un governo c’è. Ma come fa notare Antonella Olivieri sul Sole di oggi, la maggioranza, risicata, che l’ha eletto venerdì scorso si è sciolta insieme ai lavori assembleari, che peraltro hanno visto una presenza record. Come dire: non è detto che alla prossima convocazione dei soci si ripropongano gli stessi rapporti di forze, soprattutto nel caso in cui il cda dovesse proporre operazioni straordinarie (come lo scorporo della rete) che richiedono maggioranze qualificate.
Dunque il governo di Tim, un cda pieno di indipendenti (cosa di per sè positiva) ma con una maggioranza a rischio e un consigliere delegato eletto dalla lista di minoranza, avrà il suo bel daffare a trovare la quadratura del cerchio. I partiti che lo sostengono (un fondo attivista, Elliott, pronto a uscire per definizione e una Cdp in attesa di nuovi ordini dal prossimo governo) non paiono in grado di offrire tutte le garanzie, e i numeri, necessari per governare serenamente e a lungo, quello di opposizione – Vivendi – ha numeri più grossi e pare molto arrabbiato; e poi c’è la politica, visto che la partita si gioca con sullo sfondo quell’eterno braccio di ferro finanziario Italia-Francia fatto di qualche sgambetto e molti sospetti (forse anche troppi).
In mezzo, c’è il mercato. Ovvero quei fondi che alla fine hanno determinato il ribaltone, ritenendo che il nuovo governo possa fare meglio di quello vecchio. Meglio per chi? Per la società (e quindi il titolo Telecom, che soffre molto pi di quelli dei competitor) e, di conseguenza, per il Paese, che ha bisogno di un operatore concentrato su sviluppo e redditività.
Restano molti paradossi – come l’obbligo di pagare una probabile multa per un errore commesso dalla passata gestione, o la fiducia a tempo per un manager che fino a ieri pareva andare bene a tutti – ma solo rimettendo in moto Tim sulla strada dell’interesse personale e generale il nuovo governo potrà governare. Non è facile, ma si deve provare. Ci vuole un po’ di voglia e di capacità politica. Politica alta, però. Come quella che Sergio Mattarella, probabilmente, cercherà di chiedere ai partiti che si presenteranno domani al Colle.
L’alternativa, in entrambi i casi, è la sopravvivenza. Per Salvini, Di Maio, Berlusconi e quel che resta del Pd da una parte, per Elliott, Bolloré, la Cassa e i tanti pezzi da novanta del nuovo cda dall’altra.Una palude in cui l’unica cosa che conta è restare a galla. Incuranti del passare del tempo e del cambiare delle stagioni, con tutti i pericoli che ne conseguono.