Quasi come in un dialogo (o un battibecco?) a distanza, sia Carlo Messina che Jean Pierre Mustier hanno proiettato in Europa le loro banche, Intesa e UniCredit, nelle presentazioni di questa settimana. “Vogliamo essere i numeri uno in Europa”, ha detto Messina, specificando che in Ca’ de Sass si punta a un primato qualitativo. “Vogliamo vincere da banca paneuropea”, ha detto (ribattuto?) Mustier.
Sfumature? Non proprio. Se in comune le due banche hanno una comprensibile ambizione da Champions League, le ricette sono assai diverse. Perché assai diversi sono i due manager, e – forse ancora di più – le situazioni da cui partono.
Intesa conta su una indiscussa leadership nazionale: in Italia è prima per quantità e qualità, non a caso negli ultimi quattro anni ha distribuito 10 miliardi di dividendi, pari a quasi tutti gli utili accumulati (non è consueto che la Bce lo autorizzi, ma la banca è ben patrimonializzata e un’eccezione ci sta); in questi anni ha fatto della gestione del risparmio la sua fortuna, grazie a una filiera che comprende un’efficiente e smilza fabbrica prodotti, rodati canali private e una rete di filiali retail ultra-capillare. Con l’acquisizione, con dote, di Popolare Vicenza e Veneto Banca ha anche consolidato la sua posizione in un’area ricca e prosperosa. Fuori dall’Italia, però, c’è poco: qualche banca nell’area balcanica, un bancone in Egitto, due controllate in Ucraina e Russia spesso fonte di grattacapi.
Per UniCredit vale il contrario: l’Italia rappresenta la metà del business, è vero, ma il gruppo è tra i leader in quasi tutti i principali Paesi europei, compresi quelli – Repubblica Ceka, Romania, Turchia – che crescono di più. Dunque già oggi è banca europea per definizione, che non a caso ha assuto come modello di riferimento la francese Bnp Paribas.
Eccola qui, la differenza. Intesa ha una struttura verticale, concentrata in Italia e nella capacità di estrarre tutto il valore da un Paese che non corre ma conta su un risparmio privato che in Europa non ha eguali. UniCredit, al contrario, è orizzontale: a maggior ragione dopo la razionalizzazione del perimetro voluta da Mustier (che non ha esitato a vendere la fabbrica prodotti, Pioneer, ad Amundi e ha ridotto la quota in Fineco), il gruppo è presente come istituto corporate e retail in tutta Europa.
Per entrambi, ora, c’è da crescere, sperando che la crescita duri, che in Italia le elezioni non rovinino tutto e che – finalmente – i tassi crescano un po’. Mustier, che finora pare abbia all’attivo mezze maratone, punta alla distanza lunga, i 42,2 chilometri. Nella vita sportiva e in quella bancaria. Come dire: sarà lunga.
E a entrambi toccherà ben figurare, onde vivere – e non sopravvivere – in un mercato sempre più competitivo in cui la selezione darwiniana non è ancora finita.