Flowering. Così ha titolato il Financial Times la sua Lex (notoriamente severa) dedicata al nuovo piano industriale di Intesa Sanpaolo. Non capita tutti i giorni, e Carlo Messina – comprensibilmente – pare abbia apprezzato.
Un riconoscimento in più a un piano già premiato dalla Borsa in una giornata di vendite che si caratterizza per due aspetti: l’italianità e la crescita. In pratica, la banca punta a crescere molto pur restando fortemente baricentrata in Italia. La formula ha funzionato con il piano passato, che ha fondato le sue fortune sulle commissioni generate dallo sviluppo del risparmio gestito (il petrolio di casa nostra), peraltro favorito da una politica monetaria della Bce che ha spinto milioni di italiani a cercare alternative più remunerative ai BTp, nel frattempo crollati quanto a rendimenti. Debitamente aggiornata, la formula rimane la chiave del nuovo piano al 2021, che punta a generare 6 miliardi di utili nel suo ultimo esercizio. Tanto ma non troppo, se è vero che il mercato ha dimostrato di credere alle parole di Messina, finora capace di mantenere le sue promesse (10 miliardi di dividendi in 4 anni) nonostante la congiuntura sia stata più amara delle attese.
Ora, per fortuna, lo scenario è cambiato. L’Italia non corre ma è in ripresa, una ripresa che per Messina durerà almeno fino alla fine del piano. Ed è abbastanza robusta da tenere a bada gli investitori rispetto alle elezioni di marzo. Intesa ci crede, tanto. Al punto che solo una recessione, eventualità ritenuta assai improbabile, potrebbe costringere a rivedere strategie e obiettivi.
E’ un assunto da non sottovalutare. Da oggi al 2021 può accadere di tutto, quindi ce ne vuole di fiducia per pensare che nei prossimi quattro anni l’Italia sia in grado di portarsi a casa quel più uno virgola di crescita che ha segnato il passato più recente. La conseguenza: d’ora in avanti e più che in passato Intesa Sanpaolo sarà sempre più legata alle sorti dell’Italia. Una vera e propria proxy. Chi compra Intesa compra Italia, con le sue potenzialità e i suoi rischi, con le sue imprese che girano e con il suo debito pubblico, con i suoi tesori e la sua burocrazia mostruosa.
In pratica, la banca sarà una cinghia di trasmissione tra i mercati finanziari e l’economia reale, che peraltro promette di sostenere con 300 miliardi, tra prestiti, tasse e investimenti. In questi giorni segnati dalla pazzia di mercati innescati come bombe da semplici algoritmi, ipnotizzati dai bitcoion, accartocciati in una volatilità che nulla ha a che vedere con l’andamento reale dell’economia mondiale, non è poco. Chissà, forse un’italian way alla finanza.