Magari un’azienda, una grande azienda, fosse come il barolo. Che a invecchiare, passando di botte in botte, migliora.
Non è così. Di solito un’azienda a invecchiar peggiora. Soprattutto se è grande e nel tempo non si fa nulla di decisivo per migliorarla, anzi la si passa da una situazione transitoria a un’altra.
Lo vediamo oggi con Ilva. Dopo una lunga crisi e due anni e mezzo di amministrazione straordinaria, a maggio al termine di una gara internazionale è stata ceduta a Am Investco Italy, joint venture formata dal gruppo Marcegaglia (possiede una quota del 15%, che in parte sarà rilevata da Intesa Sanpaolo) e da ArcelorMittal (detiene il restante 85%). La nuova proprietà ha comunicato di voler riassumere solo 10mila dei 14mila addetti: il Governo non ci sta e oggi il ministro Calenda si è rifiutato di sedersi al tavolo con i nuovi padroni, facendo saltare il primo incontro programmato da tempo.
Motivo? Per Calenda non si possono fare «passi indietro» e le proposte sui salari sono «irricevibili».
Pur al netto della tipica dialettica da tavolo sindacale, è tema sensibile vista la rilevanza dell’Ilva per la difesa dei livelli occupazionali in Italia.
Però: davvero potevamo pensare che bastasse una gara internazionale per ridare slancio a un’azienda – pur rimessa in piedi dalla gestione commissariale – che da anni convive con irrisolti problemi di produttività?
Forse ci abbiamo sperato.
Ma il mercato di norma non regala nulla. E i privati non sono nè santi nè fessi. Non sono santi e quindi raramente si immolano a operare là dove lo Stato ci ha perso un sacco di soldi. E non essendo fessi di norma quando si comprano un’azienda ci vogliono mettere le mani dentro.
Giusto battagliare. Ma probabilmente alla fine ci toccherà un triste ritorno alla realtà. E non solo su Ilva. C’è un’altra azienda improduttiva in vendita: è Alitalia. Dopo la bocciatura da parte dei lavoratori mediante referendum dell’ultima offerta della vecchia proprietà (Etihad e banche), è arrivato un prestito ponte da 600 milioni dallo Stato (che da contribuente un po’ mi inquieta), sono sbarcati i commissari ed è partita anche qui una gara. La compagnia è nel limbo, una di quelle strane situazioni in cui le cose sembrano andare meglio del previsto – conti in miglioramento, nuove rotte, grande interesse da parte dei potenziali compratori – ma quanto durerà? Nelle settimane scorse sono giunti segnali di interesse da parte di Ryanair, Lufthansa, Etihad, easyJet, Delta Airlines. Peccato però che nessuno sia disponibile a comprare tutta Alitalia, e – mentre Ryanair, in altre faccende affaccendata, si è chiamata fuori – si va verso l’inevitabile spezzatino. Destinato, come Ilva, a rivelarsi meno succulento di quanto osassimo sperare.