Quest’anno ho dovuto arrendermi all’evidenza: con i prezzi oltre i 2-3 euro al chilo dal mio verduriere del mercato, ho comprato pochi broccoli, ho ridotto i finocchi al minimo indispensabile e ci siamo fatti una sola volta – al massimo un paio – la pasta con le cime di rapa (anche perché al Nord non si trovano buone come Giù, dicono tutti). Mi rifarò in queste ultime settimane d’inverno, o l’anno prossimo.
In fondo, me la sono cavata con poco, anche se broccoli et similia mi piacciono assai. Molto peggio è andata alle aziende del Centro e Sud Italia alle prese con i raccolti distrutti dal gelo. E pure a quelle spagnole, che hanno più che dimezzato la produzione e raddoppiato i prezzi: in Inghilterra si è arrivati a pagare l’insalata iceberg il 30% in più dell’anno scorso, in Germania i broccoli hanno ampiamente superato i 4 euro al mazzo, tre volte il prezzo abituale.
Domani tutto questo finirà sul tavolo del Consiglio della Banca centrale europea. Non a pranzo, prima. Quando l’organo che stabilisce la politica monetaria in Europa dovrà decidere se e come proseguire nella politica espansiva (moneta al massimo, tassi al minimo) adottata negli ultimi tre anni. Il rincaro di frutta e verdura avrà un peso non irrilevante: insieme al petrolio, l’alimentare ha trainato l’inflazione nel mese di febbraio. Al punto da raggiungere il 2% su base annua. Che nei piani della Bce era anche l’obiettivo del Quantitative easing, cioè del gigantesco programma di acquisto di titoli di Stato e bond corporate (3.400 miliardi tra marzo 2015 entro fine 2017) destinato proprio a combattere la deflazione e riaccendere i prezzi.
E’ probabile che oggi, ai tanti in Bce (tedeschi ma non solo) a cui il Qe non è mai andato giù fino in fondo, piaccia ricordare che l’inflazione è tornata. E dunque si potrebbero chiudere anticipatamente i rubinetti. In realtà, Mario Draghi dovrebbe avere buon gioco a spiegare che il petrolio è volatile per definizione e il salasso delle verdure è già terminato (la primavera è vicina!), quindi – al di là di qualche ritocco alle previsioni – la politica monetaria espansiva dovrebbe proseguire come da copione.
Ma c’è da stare all’occhio. In un modo o nell’altro la fine del Qe si avvicina, e quando la Bce toglierà la sua diga dal mercato è probabile che i prezzi di tutti i titoli finora acquistati a man bassa siano destinati a scendere. Un bel monito per i Paesi molto indebitati che vivono di titoli di Stato e quindi di Spread (Italia in testa), e per tutti quelli che hanno in tasca grandi quantità di quei titoli (banche in testa).
E’ così che al Tesoro, come in UniCredit, Intesa Sanpaolo o Generali (che hanno in pancia decine di miliardi di BTp), da qualche mese quando si va a fare la spesa si guarda con una certa apprensione anche ai prezzi di frutta e verdura.