Se il cane è il miglior amico dell’uomo, la banca può essere la migliore amica di risparmiatori e imprese. Purché faccia quello che deve, onestamente: raccogliere denaro remunerandolo il giusto e prestarlo a chi se lo merita. Tutto il resto, in teoria, viene dopo.
In pratica, invece, in anni recenti è successo che “tutto il resto” è venuto prima. La finanza, quella creativa, ha preso il sopravvento: prodotti sempre più sofisticati e farlocchi (che tacevano i rischi che si portavano dentro), comprati nella totale ignoranza, hanno gonfiato i conti di alcune grandi banche. Soprattutto negli Stati Uniti, dove i creativi non hanno limiti. Non a caso, è qui che si è concentrata la grande crisi culminata con il fallimento di Lehman Brothers, nel 2008.
Tappare tutti i buchi di un sistema che faceva acqua da tutte le parti è costato centinaia di miliardi. Pubblici. Agli Stati Uniti e a mezza Europa (all’Italia poco perché qui da noi la fantasia evidentemente non si concentra nella finanza, ma altrove). Per evitare di doverlo fare di nuovo, il mondo – per una volta quasi tutti d’accordo! – ha deciso di sottoporre le banche a regole sempre più stringenti: più capitale e controllo più severo dei rischi. Soprattutto negli Stati Uniti, dove Barack Obama un passo alla volta è riuscito a mettere un freno alle potentissime banche d’affari. Anche l’Europa ha dovuto adeguarsi, e pure l’Italia: se vuoi far svenire un banchiere o un bancario basta citare Basilea (la città che ha dato il nome alle discipline più recenti in fatto di credito), quando vai in banca ti fanno firmare migliaia di fogli in cui dici che sei consapevole dei rischi che ti prendi.
Le nuove regole non hanno funzionato benissimo: per prevenire rischi futuri, hanno creato problemi immediati (più burocrazia, meno credito,…). Ma se pensiamo alla posta in palio, cioè evitare che un sacco di soldi dei cittadini servissero di uovo a salvare le banche, forse non c’era alternativa.
Ecco perché mi provoca una certa ansia vedere che una delle prime iniziative di Donald Trump è quella di avviare una nuova regolamentazione delle banche. Che, però, come ha scritto bene Vittorio Carlini, è una vera e propria deregulation. Il discorso del neo presidente Usa è, tanto per cambiare, assai semplice: troppe regole soffocano le banche, la lezione è stata imparata, il sistema si asterrà spontaneamente dagli abusi del passato. E potrà fare più credito, spingendo l’economia americana.
Tutto questo, come molte delle cose che stanno capitando da quelle parti, un po’ mi inquieta.
La mia vicina di casa, quando esce con il suo cagnolino che non ha mai fatto male a una mosca, deve sempre avere il guinzaglio con sé. Le grandi banche d’affari, che hanno sbranato un sacco di soldi, d’ora in avanti potranno tornare a girarsene libere come 15 anni fa.