Un po’ di luce in fondo al tunnel della Tav

La Tav non è San Siro o il San Paolo: non è un gioco, non basta un selfie. Merita un’idea, un po’ di coraggio, molto rispetto: per la Valle di Susa, terra di nobili resistenze, e per l’Italia tutta. Che qui si gioca un po’ del suo futuro.

Kordusio oggi esce dal seminato e va in trasferta con Matteo Salvini, atteso al cantiere di Chiomonte. Ennesima puntata, sicuramente non l’ultima, di una vicenda che da 14 anni tiene banco. Ora si aspettano i risultati dell’analisi costi-benefici (anche qui non la prima e probabilmente non l’ultima) gialloverde: evocata, lanciata, sbandierata, assegnata, elaborata, anticipata, ridimensionata e poi sparita dai radar. Nell’attesa che il ministro Toninelli la scovi in qualche cassetto del suo ministero, si è chiarito che non risolverà nulla: come tutti i documenti tecnici, non conterrà tutte le risposte. E, anzi, aggiungerà qualche domanda.

Perché la Tav non è un’opera come un’altra. E non c’è ingegnere, professore, geometra, geologo, che abbia la soluzione. 

La Torino-Lione non è come la variante di valico o la M5 di Milano. O il ponte di Messina. E’ un’altra cosa. E’ una scommessa sul futuro, su un certo tipo di futuro. Rischiosa e costosa, e che quindi si può anche decidere di tirarsi indietro. Ma che non ha in sé la risposta. 

Semplifico, e un po’ banalizzo: ci sono ottime ragioni per decidere che la Tav costa troppo o comunque più di quanto oggi possa servire. I trasporti ferroviari tra Torino e Lione, come leggo anche oggi su Il Fatto, scarseggiano, la linea storica si può usare meglio, e poi ci sono di mezzo tanti, troppi soldi e interessi. Ci sono altrettante ragioni per teorizzare il contrario: le direttrici dei grandi flussi, la transizione dalla gomma al ferro, eccetera eccetera.

Ma la scelta è un’altra: tra un futuro diverso che un po’ ci spaventa e un futuro più simile al presente che per questo un po’ ci conforta. 

Personalmente, a denti stretti, tendo a essere per il primo (ma è un dettaglio). Sta di fatto che la Tav non è poi così diversa da quelle scelte dilanianti che ogni persona compie qualche volta (non tante) nella vita. Che per questo spiega anni di dibattiti, scontri, piazze. Con le ultime, meravigliose, che ha visto Torino, piene di persone con le loro idee diverse.

Ecco perché delegare la decisione a un’analisi costi benefici suona come riduttivo rispetto alle dimensioni della questione, irrispettoso per chi la vive sulla propria pelle e sotto il suo naso. E alla fine illusorio. 

C’è l’idea del referendum, ma anche questa mi sembra una scorciatoia: senza politica, senza una politica che abbia il coraggio di prendere una decisione, questa volta non se ne esce.