L’indigesto spezzatino Telecom che fa gola a Vivendi, Elliott e al Governo

Nel gran pasticcio di Telecom Italia solo una cosa sembra mettere d’accordo i tre litigiosi protagonisti (Vivendi, Elliott, il Governo): lo smantellamento del gruppo. Non ha l’aria di una buona notizia. Per la società, l’Italia e il suo sistema economico.

Per rendere più appetitosa e intrigante una vicenda che si trascina da mesi (anzi anni) ed è ormai incomprensibile ai più, si preferisce parlare di spezzatino Telecom. Ma è qualcosa di molto meno succulento e molto più trucido. Nei fatti si tratta di mandare al macello uno dei pochi grandi gruppi rimasti in Italia; che non se la passa bene, è vero, ma è pur sempre erede di un passato glorioso e presidio di un settore strategico.

Negli ultimi mesi l’azionista di maggioranza Vivendi, l’attivista Elliott e il Governo (molto attivo con varie sue espressioni e non sempre allineato al suo braccio operativo, la Cdp) hanno litigato su tutto. Ma nella sostanza (anche se non nella forma) sembrano d’accordo su una cosa, non da poco: smantellare Telecom. Vivendi punta a recuperare parte dei soldi perduti e mantenere il controllo di un gruppo che ambisce a rendere sempre più francese, Elliott a uscire meglio di come  è entrato, il Governo a portare a casa un risultato politicamente e demagogicamente assai ghiotto: la rete unica, difesa dal golden power.

Il ceo Amos Genish, defenestrato ieri, per un anno è stato il capoazienda ideale: spalle larghissime, molto tempo trascorso fuori dall’Italia, abbastanza fuori dagli schemi da essere apparentemente con tutti e con nessuno. Ma rappresentava una barriera all’attuazione di un piano che per essere attuato richiede probabilmente una situazione più paludosa, come un ceo ad interim come quello che sarà nominato domenica e la spada di damocle di un’assemblea che potrà ribaltare il consiglio. Il piano, anticipato dal Sole, prevede nella sostanza lo scorporo della rete (destinata a essere scorporata e fusa con l’altra di Open Fiber), la cessione delle attività non core (ma che rendono) come il Brasile e il riposizionamento del gruppo come società di servizi. Una sorta di grande Tiscali.

E’ vero che così come è fatta, Telecom – con il suo grosso debito e la sua piccola marginalità – non pare sostenibile sul lungo periodo. Ma di qui allo spolpamento di un’azienda che ancora oggi dà lavoro a 60mila persone e ha eccellenze tecnologiche non banali molto ce ne passa.

Senza contare, ora che si è buttata giù quella debole impalcatura che reggeva l’azienda e difendeva le apparenze, un rischio forse ancora più grosso: lasciare le cose a metà. E’ lo stesso pericolo che il Governo rischia su un altro fronte delicatissimo, quello di Alitalia: grandi ambizioni, grande ottimismo ma un sacco di vincoli e pochi soldi. Quindi non sarà facile quagliare. Proprio come su Telecom, dove i nodi da sciogliere (l’integrazione con Open Fiber, gli esuberi, la reazione del mercato) non sono pochi.

Buon appetito.

(Nella foto, spezzatino di cinghiale)